13 maggio, 2012

Il vento della domenica.

Una vera e propria tempesta, un vento così forte come non si vede spesso qui sulle colline, al massimo un pò di brezza profumata, niente di più. La domenica più ventosa del mondo, accade oggi, lassù nella casa in collina, dove una raffica ha fatto rotolare il vaso dove era appena stata piantata la lavanda, disintegrandolo. Un vento che è entrato di nascosto ma nemmeno tanto da una finestra lasciata socchiusa nella camera di uno dei ragazzi, portando con sé rametti e foglie, batuffoli di pioppi che vagano da giorni, perfino petali di rose. Un vento che sibila da sotto la porta, sembra sempre ci sia qualcuno che voglia entrare, è tutto un carezzare la porta d'ingresso, toccarla appena, ti vien da guardare e dire chi è. Non risponderà nessuno. Il vento non risponde mai. Puoi chiedergli qualsiasi costa, il vento ascolta è basta e parla parla parla, ti racconta da dove viene e da dove va, ma non ha nessuna risposta per te, nessuna certezza, nessun sentimento. Puoi provare a sedurlo, puoi sederti davanti alla finestra, indovinarne le traiettorie invisibili,  la strada che fa, abbracciando il pino, scuotendo il ciliegio passando dall'acero e poi tornando indietro a spettinare l'erba, prima di qua e poi di là, ma le sue strade non si capiscono mai, non si comprendono mai fino in fondo e quando ti sembra di averlo in pugno ecco qui, si calma un secondo, non sibila più, non canta, non tocca la porta, sussurra e basta. Ti Ho Preso, puoi pensare, ma non dura molto. Un secondo dopo eccolo di nuovo, a tormentare l'aiuola, a fare danze impossibili sulla siepe che si arrende, a far finta di nulla piegando le ortensie, sottomesse. Ancora non so dire se il vento mi piace oppure no, forse mi piace quello che lascia dopo, la pace, il silenzio e anche i rami spezzati, vuol dire che è tutto finito, tutto passato, e forse quando è andato via un pò mi manca, peccato, mi piacevano i suoi giochetti in giardino, avevo tante cose da chiedergli, ma tanto, lo sanno tutti, il vento non risponde mai.

07 maggio, 2012

La Primavera Non Si Tocca.

Questo mi ha detto poco fa, il mio figliolo mediano, quello che dovrebbe avere l'esame di maturità, quello spettinato, quello magrerrimo, quello bellissimo. E' vero, la primavera non si tocca, alla fine arriva, nonostante tutto. Arriva coi suoi profumi, coi colori nelle vetrine, i sandali, i vestitini di voile, e arriva anche nella testa, nel modo di pensare, di porsi, di prendere le cose da un certo lato, i sentire. E' una giornata magnifica da queste parti e lassù, nella Casa in Collina, si è già avuto modo di riempire ben 3 volte l'Abiurato Stendino, perchè, come ho già detto, se stendi di fuori ormai il più è fatto. E' incredibile come il sole, la luce, il profumo dei fiori condizioni la vita di ciascuno. Tutto ci sembra già essere un pò più facile, un pò meno pesante, qualsiasi cosa sia. Basta pochissimo, le prime rose che sono già sbocciate nell'aiuola, le foglioline verdissime, sono già state colte e sistemate nel Riciclato Vaso della marmellata, ingentilito da un nastrino di raso color crema. Il silenzio di questa casa è una medicina per animi acciaccati, per ansie immotivate, adatto a lenire tristezze che vengono da lontano, pensieri al nero di seppia, pesi sul cuore che fanno male e via così. Si è sistemato tutto per benissimo, comprato una scatola colorata per i gomitoli da tenere accanto al divano, persino un piccolo regalo per un'Amica, non dirò quale, sarà una sorpresa nella sorpresa, un pensiero piccolissimo di poco valore, ma non per questo meno prezioso. Ci sono giorni che sono lenti che fanno fatica a passare ed è questa la loro bellezza chiara: ci si sente un pò miracolati, salvi da un naufragio, magari fra poche ore si sarà nel  mezzo di una tempesta, ma che importa, in fondo, qui e adesso sono le parole che vogliono cucirmi addosso, senza pensarci troppo sù. Stasera per cena l'insalatina fresca del contadino, la finestra che dà sul giardino socchiusa, spiando la luna per essere la prima a vederla quando appare, le rose sul tavolo, la tovaglia profumata, asciugata di fuori, ma guarda, è già ora di tagliare il prato. L Primavera Non Si Tocca. E già.

02 maggio, 2012

Il Cielo al Mirtillo.

Si sente il bisogno, ogni tanto, di nascondersi un pochino. Di concentrarsi un pò sulle cose vere, sulle persone, sulle sensazioni, su sè stessi. Si pensa che aver sempre tutto sotto controllo ci renda perfetti e potenti e invece qualche volta bisogna lasciare andare un pò le cose come devono andare, sbattiti di qui e di là, tanto poi le cose fanno sempre come vogliono loro, in un certo senso, e il tuo sbatterti non sarà servito a un bel niente. Son stati giorni di vacanze lente lassù, nella Casa in Collina. Non si è andato da nessuna parte, se partire si intende prende un volo, una macchina, una barca e via. Ci si è coccolati un pò con le persone care, tutte tutte, si è trascorso del tempo insieme a chi ci piaceva, a chi ci piace di più in assoluto, si sono fatte piccole, piccolissime gite, un giro di shopping, tante chiacchiere con le Amiche, si è perfino sfidato il diluvio per andare a vedere da vicino come si fa a tingere la lana con i colori naturali, e colà si è incontrato, anche se  per pochissimo, gente che ci piace. Mi sono nascosta dai giorni pesanti dei mesi scorsi, mi sono nascosta bene, non so se riusciranno a trovarmi. Ho imparato delle cose, ho pranzato sola con i miei figli maschi e mi sono sentita come al Pub Britannia 25 anni fa, ho provato trucchi con mia figlia e mi sono resa conto di quanto sia uguale a me, non soltanto per gli occhi, che peraltro ha verdi e non castagna, ma insomma. Ho avuto giorni di una serenità pacata, morbida, senza scosse, di seta. Ho scoperto che a riguardare Insonnia D'Amore per la centesima volta ti vien voglia di ritornare a New York. Ho definitivamente conclamato il mio amore per Baricco. Il cielo di oggi è un gelato al mirtillo, un pò viola, un pò bianco, variegato, non piove ma sta per. Se guardo bene, laggiù in fondo, lontano, c'è un sorriso azzurro, uno squarcio nel cielo di un turchese che ci vorrebbe uno smalto, così. Mi sono nascosta bene, i pensieri pesanti non mi troveranno e se lo faranno,  mi concentrerò su quell'azzurro, lontano, ma nemmeno poi tanto, e li spazzerò via.

23 aprile, 2012

Non proprio lunedì.

E' un lunedì leggero. Ci si dice, va bene, iniziamo, ma un pò per finta, tanto fra due giorni è di nuovo vacanza e allora non mi freghi, sii pure lunedì se vuoi, che m'importa, dopodomani è ancora domenica, o quasi. E vuol dire, eccome se vuol dire. I ritmi di questa casa sono molto scandite dalle feste, comandate e non, soprattutto per l'andirivieni  di figlioli, di porte chiuse che significano Dormo, e non spalancate su un letto disfatto, su libri affastellati scelti di fretta, di corse per le scale con la felpa a metà, profumo di dentifricio e musi lunghi. Noi qui si vive coi ritmi della scuola, non è mistero. Due giorni e poi ancora vacanza. La casa è già un pò in assetto di festa, a parte l'asse da stiro trasportata in cucina, con grande orrore dell'Illustrissimo, che non ne vuol sapere di stendini, assi da stiro, aspirapolveri lasciate lì un attimo, e, chissà perchè, fili tirati in giardino, di quelli da cui far sventolare le lenzuola, che asciugano in un attimo ma che Lo (maiuscolo) innervosiscono come la parola Fax. Diciamo che non ama il disordine, e in una casa come questa, che il Cielo mi ascolti, è una bella affermazione. Comunque, si va ad iniziare una settimana corta, il tempo è incerto ma nemmeno così brutto, c'è già profumo di fiori e di bello, c'è una brezza leggera che scuote il ciliegio e rinnova lo spettacolo dei petali rosa che cadono sul pratino. Niente o quasi in programma, se non riordinare per bene, ieri sera nemmeno si è sparecchiato come càpita spesso la domenica sera, si ha avuto notizia che il Figlio Ing. riederà alla casa paterna nei prossimi giorni e allora sì che sarà davvero festa grande, noi qui che siamo avanti (!) twittiamo e twittiamo e giusto ieri sera ci siamo detti che sì, è proprio ora di tornare a casa per un pò. Forse pioverà, ho tante cose da fare che non so da quale cominciare, c'è Afef che mi aspetta per un giretto al mercato, prima però darò un senso a questa casa eventuale, ecco, Casa Eventuale mi piace, ci sono ancora le briciole della colazione, accanto al bicchiere di ieri sera, una cosa per volta e con grande calma e sentimento, buon lunedì leggero al mondo intero, a chi passa di qui per sorridere, per una bella abitudine,  per fare un giro nella Casa in Collina,  scommetto che nessuno ha l'asse da stiro in cucina, mi sa che vado a toglierla.

18 aprile, 2012

L'arcobaleno.




No che non era una bella mattina. E l'avevo anche detto, lo avevo scritto qui, come faccio sempre, quando voglio tirare fuori le cose che sento per poi scoprire che sembrano solo le mie, ma che sono di millemila altre persone, a giudicare da quello che mi scrivono. Non era una bella mattina no. 

Poi.

Qualcuno mi ha trovato. Qualcuno che in questi anni avevo cercato tanto, ma della quale avevo perso le tracce.
E' successo tanto tempo fa, credo fosse marzo, 1994. Mi era presa secca col punto croce, avevo ricamato la qualsiasi ai miei allora due allora bambini. Tazze per l'asilo, righelli, perfino il nome sul grembiulino. E lenzuolini, quadretti di Peter Coniglio per la loro camera, perfino La Mamma è Sempre La Mamma, così, per darmi un tono. Avevo imparato da sola ma volevo imparare bene, volevo fare meglio,avevo sentito parlare di lei, era a Varese, mica sulla luna. Così, sono andata a trovarla.
Un negozio dove ti ci perderesti, dove fili, tele strane, cose bellissime ti tengono come in balia, vorresti tutto, il doppio di tutto, è successo con la lana, così  successe per il ricamo.

E' stato un incontro di quelli che si ricordano per sempre, non capita spesso di trovare persone con le quali hai subito un certo tipo di affinità, alle quali racconti tutto quello che sai, non so come dire.
Mi ha insegnato il rovescio perfetto in un'ora scarsa.
Abbiamo chiacchierato per ore.
Mi sarei sposata il giugno successivo, sono uscita dal suo negozio convinta che sarei riuscita a ricamarmi i tempo il vestito, o un grembiule dei suoi, di quelli che inventava lei. Lo conservo ancora, nero, a quadretti, con un imparaticcio ricamato sul davanti.

Ci siamo viste ancora qualche volta. Le persone con le quali hai da subito uno scambio di idee vicine, una vicinanza di pensiero e di sentire, non si dimenticano tanto facilmente. Lo so. Lo so perchè in tante, in questi ultimi giorni, me lo sono venute a dire, lo hanno provato al Camp, ed è stata un'esperienza da raccontare.

Ho insegnato la sua tecnica almeno a una cinquantina di persone, da allora.
Ricamato una serie di cose da riempirci una casa.


Oggi, mi ha trovato.

E sono felice e onoratissima di dire che oggi ho parlato proprio con lei, Rosanna Pagliarini, l'autrice di quel libro introvabile, quella dei grembiuli, quella degli schemi con le papere che andavano così tanto all'epoca, quella che mi ha fatto adorare gli Amish e la loro storia, ecco proprio lei.
E mi batteva il cuore così forte, che nemmeno se mi avesse ritrovata un vecchio fidanzato sarei stata così emozionata e felice, anzi di sicuro.
E che bello quando senti che c'è chi si ricorda di te, che bel regalo, che grande cosa è sapere che qualcosa negli altri, hai lasciato, alla fine.


Ci vedremo presto, ci siamo promesse un pranzo ai primi di maggio, abbiamo già un progetto, detto al volo, così, dentro al telefono, con la stessa energia di sempre.
Sono contenta di avere, adesso sul telefono, sotto la R tra Roberta e la Villani, proprio lei, Rosanna Pagliarini.



Stamattina ho odiato la mattina che era.
Verso sera, dalla mia finestra, brillava un arcobaleno.

Suonano le sette.

Si sentivano le campane stamattina presto, non so bene da quale campanile, qui siamo un pò circondati, ce ne sono almeno tre e poi le campane si sentono da così lontano, non saprei dire. E' un giorno liquido se guardi fuori, promette tanta di quell'acqua come se non fosse piovuto mai, come se tutti non si aspettasse nient'altro dal cielo. Invece proprio no. Si fa fatica. Fatica a fare qualsiasi cosa che non sia stare lì belli e imbalsamati a guardare fuori, a leggere i giornali, a guardare nel vuoto ripassando a mente le cose da fare, dimenticandosi volutamente quelle che ci piacciono di meno, quelle che metti sempre all'ultimo, come quando stiri, che cacci in fondo e cacci in fondo e poi alla fine la dannata camicia, quella che non si stira nemmeno si ci piangi sopra, quella di lino, alla fine arriva anche lei. La mattina di oggi fa fatica a partire, come me, è ombrosa e malinconica come me, è noiosa e angosciante. Come me.  Che vorrei essere diversa e più forte, che non mi piace quando tornando a casa dal giro dei ragazzi a a scuola mi viene il magone a guardare le nuvole bianche laggiù in fondo dopo le colline più lontane, e non so se sarebbe meglio per me silenzio o confusione, se tapparmi le orecchie con la musica più forte e cantarci pur sopra, o se giocare al gioco del silenzio, e stare attenta a non muovere nemmeno un muscolo, nemmeno a respirare, nemmeno a girare gli occhi, immobile, così. La mattina di oggi è una di quelle mattine che mi fanno paura, e anche schifo, perchè so che questo peso non se ne andrà tanto facilmente e che gli occhi pizzicano, pesanti e svogliati, e sembrano biglie di vetro, le stesse che hanno i ragazzi nel bagno blù, un vaso pieno, che a metterci le mani dentro è bello, quella volta che qualcuno le ha rovesciate un pò meno. La mattina di oggi non mi è simpatica, cercherò di ingraziarmela in qualche modo ma io non sono brava a fingere, lo sanno bene le mie Amiche che mi dicono Cos'hai quando ancora stanno entrando dalla porta e nemmeno mi hanno guardato in faccia, a loro basta vedere come sto seduta, o come cammino, o come dico loro Ciao, chissà come fanno, e forse hanno un segreto che non so, e che mi farò dire un giorno o l'altro e adesso mi sa che metterò la musica a mille e la sfiderò questa mattina che non mi piace, e cercherò e farò e disferò, alle mattine così non è che gliela si debba dare vinta, alle mattine come questa si deve fare un marameo, avendone il coraggio, non si deve dare loro troppo peso, tanto, prima o poi, anche le mattine più stronze del mondo, alla fine, finiscono anche loro.

15 aprile, 2012

Glicine bianco.


Quasi ci dimentica che esista, il glicine bianco. Si è troppo abituati a quel suo parente, quello lilla, quello che cresceva e cresceva davanti allo zuccherificio e che poi qualche scellerato ha tirato via, inutilmente. La strada non l'han fatta e lo zuccherificio è ancora lì che cade a pezzi. Il glicine bianco è per me la purezza, più di ogni altra cosa al mondo. Ne ho visto una siepe, nel tardo pomeriggio di oggi, tornando a casa. Tre macchine in fila, a portare a casa scatoloni e gomitoli avanzati, una quantità di corredini da far girare la testa e molto altro. Sono stati due giorni di grande bellezza. Non saprei come altro definirli. Quando metti insieme un'ottantina di donne in un posto sulla collina, dove nemmeno si può uscire perchè piove a scrosci che ti tengono sveglia, quando arrivano da ogni parte d'Italia, quando qualcuna si conosce da una vita e qualcuna invece si vede per la prima volta, assisti a scene che non sapresti raccontare. Ho visto occhi. A squadrarmi e studiarmi, ma come, Mi Avevano Detto Che Eri Così e Lo Sei Davvero. Così come. Occhi a voler capire, occhi felici e umidi, occhi sorpresi, occhi commossi, occhi a brillare di una luce che solo chi c'era può capire. E ho visto mani. Mani a fare e disfare, mani a inventare cose, mani ad insegnare, mani ad eseguire. E ho visto anime. Semplici. Bellissime. E ho visto abbracci, abbracci Che Nemmeno Un Parente, come ha detto Anna. E colori, tanti colori. E sentimenti, diversissimi, come spruzzati nel salone mentre scorrevano le immagini della nostra storia. Ho visto sorrisi così grandi da illuminare la pioggia, sentito risate come in gita scolastica e chiacchiere e racconti e quanta bellezza, quanta armonia, quanta incomparabile generosità, quella del cuore, la più difficile da mettere in pratica. Mi sono sentita così felice e meravigliata e così ripagata e sostenuta da farmi temere che non potesse essere tutto proprio vero. Glicine bianco son le cose del mondo da assaporare piano, che passano in fretta e ti lasciano cose di cui parlerai per mesi, glicine bianco sono le cose rare, le cose belle e profumate che durano poco, abbarbicate a muri scrostati di case abbandonate lungo la strada che scende dalla collina, in una domenica che è piovuto tutto quello che poteva piovere. Glicine bianco sono grappoli di emozioni purissime, l'insieme di tutto quello che ciascuno ha dato a questi due giorni, le cose ciascuno ha dato a me, che è tanto, è molto di più. Per ringraziare come si conviene, avrei strappato cento grappoli da quel pergolato selvatico che ricadeva su un tetto sfondato. Ma il glicine bianco non si fa cogliere da nessuno, rimane lì, intatto e meraviglioso a farsi guardare, a farsi ammirare da lontano, a dire, Son Raro e Prezioso, fiorisco ad aprile e nemmeno la pioggia sfiorisce i miei fiori. A chi come me, stasera, ha nel cuore la purezza, il profumo, la bellezza del glicine bianco.

10 aprile, 2012

Le sere che piove.

Non saprei dire se la pioggia mi piace oppure no, ci sono volte che sì e altre invece che la detesto. Così come detesto gli ombrelli, che perdo, lascio in giro, compro all'ultimo momento per non infradiciarmi e poi lascio lì, nell'armadio dell'ingresso, senza nemmeno ricordarmi di che colore sono.Le sere che piove sono sere un pò speciali, se proprio deve piovere, che almeno lo faccia di sera, che così nessuno va da  nessuna parte e si sta tutti qui, a fare delle cose diverse ma almeno tutti qui. Sono giorni frenetici questi qua, lo è stato oggi, si è lavorato sodo per l'evento dell'anno, esagerata, ma un evento lo è sul serio, siamo così tante che mi manca il respiro se ci penso, e mi fa sentire bene e preoccupata, serena ma agitata, tranquilla ma in ansia, non so come dire. Oggi eravamo tutte lì, a impacchettare, dividere, stampare, preparare, decidere, fare. Gli ultimi dettagli di un evento sono sempre i più belli, è un pò come decorare una torta, nessuno pensa pùi allo sbatti che hai avuto a comprare la farina e le uova, adesso devi solo decidere di che colore fare la glassa. Diciamo che è la parte più divertente. Le sere che piove ti fanno pensare alla strada lucida, ai lampioni che la riflettono e la fanno brillare, che belli i lampioni della salita quando piove forte, non sai se piove acqua o piove luce o tutt'e due. Che bello quando piove di sera, è come se lavasse via tutto quello che è stato durante il giorno, come a dire, Ok, Pulisco Tutto Per Bene e Domani Andrà Meglio, sarà tutto più lucido e perfetto, lavo via le delusioni e le cattiverie, anche i magoni che ti prendono all'improvviso, anche gli scatti di stizza, anche lo sconforto che ti prende quando scopri che per la terza volta hai dimenticato stese le lenzuola, ma noooo, di nuovo. La pioggia lava tutto, domani dicono pioverà ancora, ma i pensieri pesanti sono di domani, e proprio per questo non si pensano ora, si lasciano lì, in un angolo, magari domani, ora di pensarli, saranno un pò meno pesanti e un pò più bellini, domani è domani, mica stasera, magari una bella sorpresa, un coniglio dal cilindro, dici di no? io ci provo, e che mi costa, può succedere di tutto, nelle sere che piove.

05 aprile, 2012

La Leggenda del Lillà In Fondo Al Giardino.

Era stato un rigido inverno. Uno dei più freddi degli ultimi cinquant'anni, o almeno, così dicevano tutti. Nulla veniva risparmiato dalla morsa del gelo, come si era preso a chiamarla sui giornali e alla tv. Nessun giardino l'avrebbe avuta vinta, ma per vederne i risultati devastanti si sarebbe dovuto attendere la primavera. E infatti, sciolta la neve, passato il freddo, ecco tutti a contare le prime vittime. La siepe, il fiero alloro, il gelsomino erano soltanto un insieme di rametti secchi e tristi. A nulla serviva l'intervento amorevole di un giardiniere professionista, uno che sa esattamente dove tagliare, quando e se. Il verdetto era sempre lo stesso, dopo un accurato esame, spesso in ginocchio accanto alle piante a scrutarne le radici, a guardarne da vicino le foglie secche, si rialzava scuotendo la testa. Nemmeno questo aveva superato le temperature spietate dell'inverno. Vi era in fondo al pratino un alberello di lillà. Era stato un regalo, di quelli che ti colgono impreparata e che ti lasciano sorpresa e felice, Che Bello, Per Me? perchè in fondo è un privilegio essere felici di un regalo inaspettato, è un lusso semplice, una bella cosa. Il Lillà Aveva trovato posto in fondo al pratino, vicino alla siepe della salvia, in un angolo ben studiato, così da vederlo anche da casa, una volta esploso nella sua incomparabile nuvola viola. Ogni anno fioriva e fioriva. Ma stavolta non si avevano molte speranze, riguardo la sua salvezza, e si temeva il peggio anche per lui. Lo si era visto curvo sotto un cumulo di neve, intirizzito, gelato e fermo, i sui rami scarni verso il cielo. Poi, accadde. In un giro di ricognizione, ecco dai rami secchissimi spuntare minuscole gemme, foglioline appena accennate. E qualche giorno più tardi, già i primi grappoli, ancora chiusi, ma che già promettevano quel bel colore pulito, quei fiorini quadrati e perfetti, e quel profumo di buono. Rami che di lì a poco avrebbero formato quella nuvola colorata tanto attesa, da guardare da casa, rami da cogliere e da mettere sul tavolo, la domenica, nel vaso riciclato della marmellata, nei vecchi bicchieri spaiati.
Il lillà aveva vinto sul gelo e sulla neve.

Sono nata lillà, non gelsomino.

02 aprile, 2012

Vento da dove.





Dicono ci sia stato un ventaccio, ieri, da queste parti. Non posso saperlo, io non ero da queste parti ieri, perciò      non lo so.  Quello che so è che c'è stato sul serio, a giudicare dal delirio che ha lasciato sul pratino già in disordine di suo, non avendo ancora subìto alcun intervento di rassetto primaverile. Il vento di ieri ha staccato la casetta degli uccellini, e con essa il marchingegno da me amorevolmente brevettato per sfamarli, il loro bar, diciamo. Ha capovolto lo stendino e tutto quello che c'era sopra, anche se lo stendino di casa mia è sistemato in posizione strategica, che lo nasconde agli occhi del mio Sposo che non ne sopporta la vista. Non ci si chieda il motivo, Egli è fatto così. E' stato un vento della malora, di quelli improvvisi che spazzano via le cose che magari sono lì da un sacco di tempo. Succede, qualche volta Che arrivi una folata dopo l'altra, raffiche a mille all'ora e ti portino via delle cose, non soltanto le magliette stese, non soltanto il cibo degli uccellini. Ci si fa l'abitudine. Si commenta con un'alzata di spalle, dopo aver incassato il colpo, di dice Pazienza, non già con rassegnazione, ma con lo sguardo già al di là, lontano, già oltre. A guardarlo bene il giardino stamattina non è molto diverso dalle altre mattine, anzi, è proprio identico. Il ciliegio è sempre lì, la siepe anche, e anche le sedie strane, colorate, quelle col buco che il gatto ci scivola dentro, sono lì. Soffia pure, vento malvagio, vento arido che scuoti le vite di tutti, non sei quello profumato di schiuma e di mirto, sei un vento insipido che arriva chissà da dove e nemmeno ci tengo a saperlo. Soffia e porta via tutte le cose, spostale, capovolgile, fanne quel che vuoi. Non ruberai il ciliegio, al massimo gli farai cadere i petali, invidioso come sei di tanta bellezza  delicata.  Non  ruberai  la siepe, il lillà che sta fiorendo, anzi, scuotendolo ne farai uscire tutto il profumo e sarà peggio per te. Soffia, saccheggia, sfianca me e il mio giardino, non m'importa se dovrò lavare un'altra volta le lenzuola cadute sul prato. Ma guai a te se tocchi il resto. 

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...