28 febbraio, 2011

Saturday Night Fever.

Se devi dire una bugia, dilla grossa. Se devi fare una rapina, vedi di rubare un brillante da mezzo chilo. E se proprio devi farti venire l'influenza, non limitarti a un raffreddorino e a un pò di mal di gola. Un bel febbrone a 39, signora mia, che era forse dai tempi della varicella, anno scolastico 1972 -1973, che non si registravano temperature di quel tipo. Sciagurata me, ho beccato l'influenza e questa nemmeno sarebbe una notiziona, ci sono un sacco di persone a letto, sento in giro. Ma lassù, nella Casa in Collina, la MIA influenza è vissuta male. Sale male, come dicono i miei figli. In questo fine settimana, che un fine settimana, lo sanno tutti,  dura appena 2 giorni, è successo di ogni. Si è discusso, pur febbricitanti, come di solito si discute in sei mesi, il mio Sposo non ne vuol sapere di me malata, e seppur premurosissimo non vede proprio l'ora che la pianti con questa manfrina della tosse e della febbre, e che insomma, ci dia un taglio. Ma sto a pezzi. Come se qualcuno mi avesse  passata nello schiacciapatate, quello del purè, e poi, per finire, mi avesse dato lo schiacciapatate medesimo sulla testa. La cura è fin troppo nota, letto, caldo, sciroppini e spremutine, riposo assoluto. Ben detto. Che di per sè, non è nemmeno così male farsi accudire. A esserne capaci, però. Io non ne sono capace. E mi innervosisce il fatto che tutto mi affatichi, che anche salire le scale mi dia affanno, che abbia la testa come dentro lo scafandro di un palombaro e parli con una voce da cornacchia spennata. Così', ho deciso che sono guarita, e che soltanto oggi mi riguarderò ancora un pochino, che l'omino delle arance stamattina ha visto arrivare l'ombra di me stessa, più scarmigliata che mai, pallida in volto e ha stentato anche a riconoscermi, viste le 3 sciarpe e il Ridicolo Cappello calato fin sugli occhi, proprio io che ultimamente mi sdilinquisco di tacchi e vestitini a fiori e cose carinissime da mettere presto che sarà primavera e il sole e gli occhiali da sole e lo vedi che sole e che caldino, di già e allora, tutto questo, solo questo basta già a darmi una scossa e mi srotolo dalle sciarpe, mi faccio una doccia fresca perchè so troppo di Vicks, raddoppio la dose di medicine da sciogliere nell'acqua, e via, dai che guarisco in cinque minuti. 

26 febbraio, 2011

Figlio.



E' da ieri che lo scruto. Quel poco che ho potuto, nel senso che la febbre e il mio andare a letto presto e tutto questo tossire e tossire non mi hanno dato granchè modo. Ma ho riconosciuto come smarriti quei suoi occhi di bosco, nel buio dietro la porta della mia stanza, ieri sera, Stai Bene? E ho riconosciuto quel suo indugiare in un abbraccio troppo stretto, come chi ha da dire molto ma non dice, e dice Chiedimi, Non Ti Risponderò, ma tu fàllo, mamma o non farlo, non so. Non ho capito, figlio, non ho compreso subito, mi sono data qualche risposta confusa, gli esami, la nuova vita a Torino, nuovi amici e nuove cose, sarà questo, ho pensato. Ma non  che fossi convinta, no, qualcosa mi sfuggiva, di solito è così ciarliero al venerdì, con tutti i fratelli a tavola, la sera, ma stasera invece no, stasera è silente e distante e ha gli occhi lontani, non so dove, non so. Io conosco le tue mappe, figlio, più di ogni altra persona al mondo ho la pianta del tuo cuore dentro al mio, ho i tuoi modi e i tuoi sentimenti, e ti sento, figlio, ti sento come un albero la foglia, come un tasto la sua nota, come il mare la sua onda. No che non ti chiedo, perchè so che non avrei risposta a questo tuo stare, so che non è una cosa da niente e allora sto zitta, ti penso e sto zitta, se avrai voglia e sentimento me lo dirai, sei uomo fatto e io, madre, ho solo modo di sedermi ed aspettare. Poi oggi. 
Devo andare, E' il Compleanno di. Ci Troviamo Tutti al Camposanto.
Amore grande mio, figlio del mattino e della luce, dimmi piano come posso alleviare questo tuo dolore, dimmi bene come fare anche a spiegarti che dolori come questo non vanno via mai, sono squarci che non rimarginano, sono tagli che non smettono di fare male, mai, la tua età ti può aiutare a far diventar tutto un pò più lieve ma il dolore è un brutto affare e se ne sta lì, in agguato, e ti rincorre e ti raggiunge. Figlio del Cielo, mia espressione più perfetta, mia vittoria, mia pienezza, cura questo dolore e impara a viverci, a riconoscerlo, a sentirlo, tasto e nota, onda e mare, nell'ineluttabile e spietato gioco della vita e della morte. Da lassù, nel giorno del suo compleanno,  c'è chi ti guarda e sa.

25 febbraio, 2011

La Tosse.


Sparsa le trecce morbide
Sull'affannoso petto,
Lenta le palme, e rorida
Di morte il bianco aspetto,
Giace la pia, col tremolo
Sguardo cercando il ciel.


Questo recitavo stamattina, scendendo lentamente le scale, scarmigliata, tossente, ( si dice, tossente?) febbricitante, malatissima. Dalla cucina, un numero imprecisato di figli intenti a far colazione, a disquisire di primissima mattina di Calciomercato, a compilare giustificazioni di assenze, sarà ben la Princi che mi ha regalato questo malessere o piuttosto la ramata di freddo che mi son buscata ieri? E dire che per un momento, ieri, m'era punta vaghezza di non mettere neppure le calze, c'è il sole, mi dicevo, che si mettono le calze a fare? Poi, ho capitolato. Emmenomale. Loro, i figlioli, han rivolto a me uno sguardo compassionevole, o meglio, tra il compassionevole e il sospettoso, CI Siamo Giocati La  Mamma, Così, di Prima Mattina? Una mamma con la tosse, che recita la morte di Ermengarda poco dopo le 7 non è mica da tutti, sa? No, non lo è. Il mio Illustre Sposo, Unissimo e Trinissimo mi guardava di sbieco, Ussignur, E' Andata. Nel frattempo, io tossivo e tossivo, facevo un pò di scena, è ovvio, ma la tosse ce l'ho per ben sul serio, mi verrà un febbrone equino, passerò il resto del fine settimana appena cominciato tra le coltri, sofferente, febbricitante, e alla fine, stremata, mi abbandonerò a sonni deliranti e chiamerò Adelchi! Adelchi! con voce rotta dal pianto. Ma sono certa che anche allora, i miei figlioli e il mio Sposo continueranno beati a parlar dei fatti loro al tavolo della cucina, facendo colazione belli sereni e pensando che sì, la mamma è davvero una burlona, ma poi, alla fine, questo Adelchi, ma chi era esattamente? Continuiamo così, facciamoci ancora del male.

24 febbraio, 2011

Il Bel Momento.

Il bel momento succede sempre, o quasi. Invero, di bei momenti ce ne possono essere una quantità, a seconda di come uno lo voglia interpretare, ma il Bel Momento per eccellenza è quando sei lì, nel letto, è già mattina e la sveglia non è ancora suonata, che la mia non fa bip bip, ma è un gong zen che il più delle volte, invece di farmi alzare mi fa venir voglia di girarmi dall'altra parte, tirarmi il piumone fin sulla testa e fare finta di niente. Il Bel Momento è quando fuori è già chiaro, sei lì, ancora immobile come se dormissi ma col cervello già bello attivo, bello sveglio e presente a se stesso, e ti dici, allora, oggi così, oggi colà, alle 10 qui,alle 10  e mezza là,  devo ricordarmi di, e poi passare anche da e mi manca questo e devo ritirare quello, e scrivere, telefonare, preparare e fare, fare, fare. E' un Bel Momento perchè da lì, le cose sembrano tutte assolutamente perfette e realizzabilissime, e che ci vuole, tutto si incastra alla più che perfezione,e guardando le punte degli alberi di fuori, quelli che si vedono dalla finestra quando si guardano dal mio letto, sembra che la giornata passerà liscissima e senza intoppo alcuno, nel senso che nel fare il tuo personalissimo programma non inserisci alcuna variabile, alcun handicap, alcun imprevisto come nel Monopoli. E tutto senza contare le grane, gli intoppi, i ritardi e le vicende che, per forza di cose, ci saranno. E' un momento di beata ingenuità, di beatissima incoscienza, e, nonostante la quantità di cose, di assoluta magnificenza. Si saprà solo poi come saranno le vostre giornate, se tutto andrà liscio, gassato o come diavolo ma questo è solo un dettaglio. Ci si goda con assoluta concentrazione tutti i Bei Momenti che accadono la mattina presto e si pratichi questo esercizio ogni volta che si può. Il mondo, visto orizzontale e sotto un piumone tiepido, è tutt'altra cosa. 

23 febbraio, 2011

L'indecisione.

Che lassù, nella Casa in Collina, non si sia completamente centrati, è noto ai più.
Che l'umore si altalenante, che si sia un giorno a Scilla, un altro al Tanai, lo stesso, e mi si perdoni la citazione letteraria.
Che ultimamente si abbia voglia dell'effimero, del frivolo, del nulla cosmico, e che ve lo dico a fare.
Ben perciò, si cerca sul web, si guardano le vetrine del globo terracqueo, che cosa mai andrà di moda a Vancouver? beh, è presto detto.
Si leggiucchia qua e là di must have e di mai più senza, si passano i dieci minuti che passano tra la tavola apparecchiata  e il riedere dei figlioli a smanettare su Fashiolista, a dire, bene, oggi mi vesto così, è come giocare con le bambole, alla fine, una maglia nera su questi calzoni sta un amore, faccio un salto da Selfridges, oppure sbircio le vetrine di Saks e ShopBop, ci metto una collana importante, una borsa classica e le ballerine di Tory Burch per le quali perdo il sonno da qualche sera in qua. E non scordo lo smalto, ça va sans dire.
Qual piuma al vento? Peggio.
Se poi ci si mettono pure le amiche, ad indossarti sotto il naso un sabato mattina, delizioserrimi (!) orecchini fatti a mano, color taupe, signora mia, che non è beige e non è mastice, e a dire candide, Ti Piacciono? Li Fa Una Mia Amica, beh, allora c'è davvero da sdilinquire.
Così, l'Amica dell'Avvocata Nostra,  che ha nome Maria, mi ha mandato un pacchettino.
Dentro, ogni bendiddio, orecchini importanti che stanno bene su ogni outfit, apparecchiate come si vuole, per seratone da corsa o anche per sciacquare l'insalata, con queste pietre semipreziose e questi fiorini perfetti che danno un che di retrò che mi piace davvero un sacco.
La tentazione sarebbe di comprarli tutti, ovvio, ma poichè un briciolo di senno mi è rimasto, ho scremato e scremato e alla fine, con grande fatica, la scelta si ridurrà a questi 3.
Così, non solo per le ballerine, adesso perderò il sonno anche per questa fondamentale decisione.
Domani al knit cafè del giovedì sottoporrò il prezioso pacchettino e l'atroce dubbio e loro forse mi aiuteranno.
E voi, quali scegliereste?




22 febbraio, 2011

Mattine così.

Le mattine non sono mica tutte uguali. Per forza. Ci sono quelle mattine frizzanti, piene di promesse e di cose, anche da fare, un sacco, ma che si vivono così bene, così leggere, che basta un niente a far di loro una meraviglia, si guarda il pratino, il cielo, si rastrellano belle sensazioni, tanto da farne un piccolo mucchietto e conservarlo, compattarlo come si fa con la sabbia sulla spiaggia, quando chiacchieri in riva al mare, ci hai mai pensato, si fanno piccoli buchi  poi si ricoprono e poi si cercano i bastoncini tutto intorno e si fanno un sacco di ghirigori, si scrive qualcosa che poi il mare tra un minuto avrà cuore di cancellare, e tu da capo, mentre ascolti, mentre parli, e che bella sensazione parlare con qualcuno in riva al mare, nessuno ascolta tranne lui, le onde piccoline, la schiuma.  Ci sono mattine invece che rastrelli e rastrelli e non trovi un bel niente, e pensi e pensi e ti ci fondi il cervello a pensare e ripensare e a preoccuparti e tutto ti sembra gigante, perfino la febbriciattola della Princi e la sua tosse, ma quante Tachipirine ho somministrato mai, e quante febbri a 40 e quante guance roventi e occhietti pesti, e dovrei avere imparato benissimo, dovrei tenere lezioni di come si fa, e invece oggi no, oggi mi sembra tutto così difficile e insormontabile e impossibile e lontano, a seconda dei casi, delle situazioni, delle mille vicende che si ammucchiano, uno dopo l'altra, una sopra l'altra. Ci vorrebbe un tuono, uno schiaffo, un'esplosione che mi squassi, che faccia a pezzettini questo stare, che diradi quest'ombra che mi sento intorno e addosso e dentro, anche, come un peso, come uno squarcio, come un sonno mai pago, come un'ansia mai completamente sparita, completamente svanita, vinta, così. Le mattine come questa fanno di me un essere strano, in bilico tra quella che sono e  quella che mi sento, ed entrambe le Quelle litigano con quella che vorrei essere, con quella che sa che non c'è motivo per sentirsi così, con quella che l'unica cosa che vorrebbe davvero, adesso, in questo istante, sarebbe un'onda delicata e senza schiuma, che appiattisse con un gesto un mucchietto di sabbia, cancellasse i fiorellini disegnati sulla riva, e che il mare ascoltasse quello che dico, a chiacchierare fitto, perchè il mare, si sa, ascolta ogni cosa, custodisce segreti e pensieri, cancella e guarisce.

21 febbraio, 2011

Si pensa al sole.



Mi si parli sottovoce, con grazia, mi si chieda Scusa e Per Favore, non mi si chiedano discorsi impegnativi, nè impegnativi programmi, mi si lasci stare bella scialla, così si dice da queste parti. Mi si lasci il tempo di svegliarmi bene, che non so come e non so perchè ho sempre un sonno, ma un sonno, non che sia stanca, no, ho proprio solo sonno e non posso nemmeno accampare la scusa E' La Primavera, ma quale, qui fuori sembra novembre inoltrato, mancano solo i crisantemi e le caldarroste, ma poi, le caldarroste a novembre ci sono, mah, non so. La settimana inizia, e sono così rapidi i giorni che tra non molto ci si ritroverà in capri-pants e sandalini, e il maglioncino di cotone infilato in borsa, e colori, colori, colori a manciate. E' su questo che farnetico, sul sole e sul caldo e sull'andare in giro in bici e sui fiori e sui profumi di limone e di vaniglia. Perciò mi si parli con calma, mi si racconti cose deliziose e deliziose soltanto, che di cose da fare ne ho tonnellate e concentrata son su tutta una serie di vicende, il Camp, per esempio, che bella festa sarà, che per l'occasione ho anche imparato a cucire, ma non a cucire i bottoni che quello lo san fare proprio tutti, a cucire con la macchina da cucire, quella che ci perdi il senno se vai storto e basta un niente perchè salti tutto e si strappi il filo, e faccia un pasticcio e allora sì che ti viene voglia di prendere la macchina da cucire e buttarla giù dalla finestra, ma rovineresti le rose di sotto, e allora meglio di no. Ieri infatti, lezione di cucito in un'altra Casa in Collina, quella a me appiccicata, che solo la Santa Pazienza dell'Ingegnera mia vicina ha potuto tanto e sono tornata a casa trionfante con il mio lavoretto fatto in due ore, è la prima cosa che faccio che non sia sghemba e storta e orrida a vedersi.  Quinci e quindi, ieri giornata impegnativa, che imparare non è uno scherzo, e poi avevamo il suo compleanno da festeggiare con menu a richiesta, che la tavola non si è sparecchiata mai, alla fine. Così, col cervello infarcito di cose e progetti e desiderata e to do list e wish list e tutta una serie di list da manicomio, mi accingo a iniziare un'altra bella settimana di cose e di cose. Quassù non ci fa mancare un bel nulla, la Princi febbricita e tossisce, ci sono pile di cose stirate da ritirare negli armadi corrispondenti, qualche piccolissimo pensiero si affaccia ogni tanto nel cervello, a farcirlo vieppiù, ma noi si scansa con eleganza, noi non ci si farà prendere, noi non ci si farà agguantare e mettere con le spalle al muro, noi si resiste, si pensa al caldo, si pensa al bello, si pensa al sole.

19 febbraio, 2011

Poesia e prosa.


Stamattina, alla lavagna della cucina, qualcuno aveva lasciato un segno di rara bellezza, di grande leggiadria, di impagabile tenerezza.
Nessuno poteva sapere che, poche ore prima, qualche altra mano, maschile, c'è da giurarci, aveva appiccicato un post-it sull'interruttore delle scale.


Storie di ordinaria semplicità, di opposti modi di comunicare, lassù, nella Casa in Collina. Son cose.

18 febbraio, 2011

Almeno, ci provo.

Nessuna voglia di fare quello che devo fare e mi sa che mi impegnerà buona parte del fine settimana, sciagurata me. Devo dire che un pò è anche colpa mia, ho nascosto, chiuso armadi, sotterrato, sono sfuggita, mi sono nascosta, passavo rasente il muro, strisciando sui gomiti, con l'elmetto, pur di non vedere. E invece, voilà. Oggi mi sono resa conto che devo. Devo farlo. Perchè la questione diventa più ingestibile, sempre più ingombrante e hai voglia a far finta di nulla, far finta di nulla non lo si può mica fare in eterno, così. Così, ci provo. A stirare, e mi fa orrore anche solo la parola. Stirare, non è un bel verbo, ha troppe r, è troppo corto, non mi piace. Preferisco Lavare i Vetri, che è più completo, oppure Lavare i Piatti, che è più musicale. Stirare no. Eppure devo, mormorò Ella con un fil di voce, devo assolutamente prima che la montagna della cameretta prenda vita e mi venga a soffocare mentre riposo beata nel mio umile giaciglio. Devo, dacchè la Signora che Stira s'è data alla macchia, e ci credo benissimo, chi glielo fa fare alla ScS di occuparsi giornalmente di un numero variabile fra le 4 e le 6 camicie, di un numero imprecisato di magliette, di delirare nel mettere insieme calze di ogni foggia e colore, quando non si decide lassù nella casa in collina di cambiare tutti le lenzuola, e allora sì, c'è un gran divertimento.  La ScS Così, lo faccio io. Mi piazzo davanti a un film e via, avanti coi carri, spruzzo e stiro, stiro e spruzzo, fino a ricadere, stremata e rincitrullita, attività celebrale azzerata, sul divano e mormorare sommessa, Abbasta, Abbasta, Abbiate Pietà. C'è un solicello tiepido là fuori, si vede benissimo dalla finestra grande della cucina, c'è un bel colore, tutto farei tranne che star qui a stirare e stirare. Un giro in collina, o sul Corso, che ho adocchiato un ultimo saldo di ballerine da perderci il sonno,  ma mentre ci sono, penso in grande. Un bar a Roma, un tavolino a Parigi, nel sole, un macaron e un cafè au lait, una copia di Elle France, un'amica e il niente, il niente assoluto. Meglio che ripassi il mio francese quasi perfetto. En attendant, je vais de fer. Preferivo il tavolino, però.

17 febbraio, 2011

Early Morning.

Mattina presto, interno di una casa qualsivoglia, ubicata dovunque, purchè siano usciti da dieci muniti uno sciame di fanciulli, stamattina uno in più, ospitato ier sera dal Liceale. In realtà i fanciulli erano soltanto tre  uno lo avrebbero raccattato per la strada del villaggio, esattamente all'opposto, noi al mattino si fa il giro e si raccatta chi c'è, per portarlo a scuola. E' un'azione che mi piace e che  sa un pò di antico, quando c'erano i primi piccoli pullman, che si chiamavano, orrendamente, pulmini, facendo il diminutivo italiano di una parola inglese ma si sa, se ne sentono parecchie, plurale di camion cammi, plurale di nailon naili, e altre amenità linguistiche delle quali mi informa spesso il mio Amico Arredatore. Vabbè. Lassù, nella Casa in Collina, tutto sembra procedere per il meglio, se per meglio si intende una soffice quiete, una specie di calma, che calma non è se si considera la tavola da 8 di ieri sera, il tavolo della colazione che potrebbe comparire bello sciallo, all'interno di uno Starbucks, dacchè le tazze son le stesse. Fuori il grigio più grigio, forse non piove, ma sembra che stia per. Dentro una confusione cosmica, si paga il fatto di essersi assentati un giorno intero, e sì che sono grandi ma sembra che non esserci, qui dentro, lasci agli altri abitanti della Casa in Collina licenza di affastellare cose un pò dovunque, giusto un attimo. Nel delirante inizio di mattinata si ha voglia di colori e colori, si pensa sospirando a quando all'ora di colazione si vedrà il sole spuntare piano da dietro il ciliegio fiorito,a quando il caprifoglio farà venir mal di testa dal troppo profumo, alle rose, all'erba nuova. Intanto, ci si organizzerà. Una camicina a fiori spunterà appena dal maglione, qualche accessorio pastello, persino le finestre spalancate, a sfidare la temperatura e a dire, è fine febbraio, non è mica più inverno. Illudersi è poca cosa, innocente, perdipiù, se ti fa iniziare meglio, se ti fa partire meglio, l'aria che arriva da fuori è ferma e fredda, ma non ci si bada. Si cerca di fare di un giorno così un giorno colà, di un giorno qualunque un giorno speciale, di una mattina noiosa una mattina brillante, raccogliendosi i capelli, canticchiando piano e sorridendo molto, anche da sole. Un bell'esercizio di stile, coraggio, provare, che serve davvero, che male non fa.

15 febbraio, 2011

The Perfect Day.

Il giorno perfetto, più che perfetto. Per urlare, incazzarsi a nastro, sbagliare la qualunque, non sapere che strada prendere, e che cosa fare mai con un'adolescente imbizzarrita di sesso femminile, sbagliare tutto, sbagliare comunque, sbagliare a prescindere, sbagliare quantunque, in ogni caso, sempre e solo sbagliare. Oggi non ne va dritta una che sia una, non ne infilo nessuna, non ne porto a casa nessuna, non ne indovino nessuna. Sono una calza smagliata, un vaso rotto, un tacco spezzato, il latte che esce dal pentolino e appiccica tutta la cucina, sono un foglio strappato, una virgola messa male, la fila alla posta, una gomma bucata, il sugo bruciacchiato, sono una multa per divieto di sosta, tutto il peggio del mondo oggi sembra capitare a me, che poi è ridicolo, son cose ridicole o comunque di poco conto, lo so, lo so benissimo, ma è la somma che fa il totale e allora e perciò, accidenti, c'è da augurarsi che nulla più succeda fino a stasera, che non deluda più nessuno, che non debba più urlare, che non debba uscire sotto la pioggia a cercare una figlia che pronti via ha scoperto il disubbidire, che non debba discutere e discutere e mediare e negoziare e proporre e ancora discutere. Mi servirebbe un bagno caldo e una candela e una bella musica, ma ancora non è tempo, non è ancora sera, ancora tutto questo Perfect Day non è affatto finito. Nel frattempo, piove.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...