16 luglio, 2010

Il Siffatto Saroyan Sabbia.

Vado avanti, ad oltranza. Ho un cestino pieno zeppo di gomitoli di ogni colore, in massima parte viola e lilla e glicine e mauve e prugna, e  insomma questo qua non ci stava bene, e allora mi sono detta, leviamolo di mezzo e facciamoci qualcosa, così, per la sola questione cromatica del cestino.E' un cotonaccio volgare, ma bello nella sua semplicità, comprato in matasse al mercato del lunedì, quello dove ci vado con le mia Amiche, quando alle 11 facciamo il Consiglio d'Amministrazione al Caffè degli Artisti, mezz'ora quando va bene, un quarto d'ora al volo quando siamo di corsa e di corsa lo siamo spesso, ma non c'è lunedì' in cui non cerchiamo di trovarci, alla fine. Il Siffatto Saroyan Sabbia è nato così, è un modello che mi piace un sacco e ne ho fatti una quantità, ma solo adesso mi rendo conto di aver sempre sbagliato alla fine di un giro e allora ecco perchè avevo sempre un punto di meno e facevo la gnorri e aumentavo furtiva, tanto, chi mi vede, viene mica la Liz Abinante a controllare che abbia fatto tutto per benino, no? Il SSS sarà piccino, non avvolgente come il Forest, sarà da legare vezzoso intorno al collo, se la sera sugli scogli dietro al porto farà freschino, già ma quando, e poi sarà ancora buono per l'autunno, ma nemmeno ci voglio pensare, adesso. Il SSS si fa in scioltezza, non leggo nemmeno più lo schema, vado quasi a memoria e questo, non so come, mi dà sicurezza. Il SSS è serico e morbido, nonostante le umili origini mercatare, in quel banco disordinato dove non sai nemmeno che cosa venda con esattezza finchè non ci sei arrivata a un millimetro, e allora è un delirio di bottoni e cerniere e ditali e forbici e e chilometri di pizzi e trine e  pallocchi per le tende, ma chi li compra più. Il SSS ha un suo perchè e un suo quantunque, nel senso che non scalderà, non coprirà, ma sarà bello possedere. Su nessuno scialle al mondo è mai stata fatta tale e tanta filosofia spicciola. Son cose.

Studio le stelle.


Ma le stelle mica si studiano, si guardano e basta. A meno che non ti senta astrofisica, o qualcosa del genere, e allora sì, sapresti il nome di ognuna e cosa fa e dove va. Dove va? Le stelle non vanno da nessuna parte, se ne stanno lì da fantastilioni di anni, e da allora sono belle e luminose e affascinanti e quando cadono, poi, la meraviglia. E’ una notte che son sveglia, i due scavezzacollo tornati dalla festa in spiaggia, ho perso il sonno o ho perso me, e allora sono fuori e guardo in su, in nessuna parte del mondo c’è un cielo  come questo e tutte queste stelle a manciate, a mucchietti, e a strade ben definite, le indovino, qualche nome lo so ma nemmeno tanti. Studio le stelle per sapere di me, per sentire se sto meglio o no, per verificare lo stato dell’arte, come quando togli il cerotto e vedi che cosa c’è sotto, era un taglio da niente o una ferita profonda, chi lo sa, sono tutte uguali, alla fine, quando guariscono. Può essere lo squarcio più grande o un taglio da scema affettando i pomodori, il segno resta lo stesso, preciso e netto, e nemmeno il sole lo fa andare via. Certo, non fa più male, ma ancora non lo so se davvero sarà così e allora devo pensarci, devo vedere, tornare a dormire che è quasi mattina, così, i pensieri si rovesciano sul cuscino come una latta di vernice, e lascerò che scendano  per terra, sul letto e sulle mattonelle del pavimento, non ho mai pensato a che colore siano i miei pensieri, neri più del nero, certe volte e rosa certe altre, viola molto spesso, mai gialli, forse grigi, ogni tanto, e di mille sfumature. Ma stasera i miei pensieri sono fermi, morbidi come di velluto, non so bene se piacevoli o no, non so bene se domani li troverò ancora, vernice seccata sul pavimento e negli spazi fra le mattonelle, so soltanto che sono blu scuro, blu quasi nero, direi, e hanno un sacco di puntini che brillano ma ho copiato dal cielo e allora non vale.

14 luglio, 2010

Appìccica.

Ci voleva pure questa. Questo, anzi. A me lo scirocco non mi piace per niente. Mi appiccica. Mi strema. Mi fa dormire. Mi fa pensare. Mi fa star male. Ecco, stare male. Mi gira la testa, e zero voglia di zero. E' tutto immobilissimo e silenzioso, e caldo caldissimo, e melenso, e faticoso, fatico anche a fare niente come faccio. Nel senso che le mie azioni casalinghe sono ridotto allo stra-osso, una specie di zingara, quale sono, nel senso che nemmeno rifaccio il letto, così, alla zingara proprio. Quel che mi appiccica sono le cose, gli stessi pensieri da un pò, che son stufa di avere, il resto della mia famiglia che sembra non arrivare mai, credevo passasse così in fretta, mi sono detta, ma cosa sono due settimane, e invece sono quasi tre e conto i giorni e faccio mille programmi, ma so che non va bene, ho imparato che far programmi porta sfortuna, ma una sfortuna che si chiama sfiga, e che quindi è proprio meglio non farli. Mi appiccica che le ortensie son sfiorite, che il Liceale ha mal di gola, mi appiccica che mi sa che stavolta ho sbagliato e ho affogato il basilico nuovo di zecca, mi appiccica che stasera nemmeno le luci di Maddalena sembra che brìllino, io sto bene, certo che sto,e di certo rimpiangerò questa pace e questi due scavezzacollo cui bado in questi giorni, ma non sono fatta per star lontana da tutti gli altri, mi appiccica il vento caldo e i pensieri pesanti che son stufa di avere, intanto, conto i giorni e aspetto il resto della mia stessa vita, non so chiamarli in altro modo.

13 luglio, 2010

Ode al Ferro Circolare.

La meraviglia. L'assoluta meraviglia. Una volta scoperti, non si lasciano più. Ovvio, come certi amori, gli inizi sono difficili. Vengono dapprima guardati con sospetto, CheCosaSono, arricciando il naso, e dicendo fra sè e sè, Io, Con Quella Roba Lì, Mai. Poi, vedendo le mirabili produzioni che con essi si possono realizzare, ci si incuriosisce, e ci si dice, via, giù, si prova. Non è che tutto funziona alla perfezione, nel senso che la tecnica, è molto diversa, c'è un sapiente gioco di intrecci e di mani, e non è che venga tutto in automatico, certo che no. Sono stati visti ferri circolari volar fuori dalla finestra linda di una villa in stile provenzale, sù, dalle parti mie. Ma tenacia ci vuole, in certi casi, e i risultati non tarderanno. Il ferro circolare è una grande scoperta, un oggetto di culto, sia esso in metallo, in legno di rosa, in bambù o in raffinatissimo cristallo di Boemia, che altro non è che metacrilato, ma il nome non mi piace e allora vada per cristallo, che è più bello. Sono di facile trasporto, si arròtano infatti su essi stessi medesimi, deliziosi serpenti a sonagli, e trovano posto ovunque, sia nelle borse da città che  nei cestini da spiaggia. Che luogo meraviglioso è la spiaggia per lavorare al progetto Verde Smeraldo che c'è punta vaghezza di inventare, in questi giorni di indolente vacanza, di assoluto riposo di mente, anima, cuore e sentimento. E lo si può fare in tutta scioltezza, chiacchierando amabilmente sulla battigia, semicoricate, in totale e assoluta sciallataggine, sotto il sole discreto del pomeriggio inoltrato.  Alla larga da sabbia e creme solari, Sua Altezza il Ferro Circolare farà un figurone, inusualissimo oggetto mai avvistato sulle locali spiagge. Noi qui la si sa lunghissima, non è mistero. 

12 luglio, 2010

Mi ero dimenticata. Di quanto fosse bella, di quanto fosse struggente e vitale e affascinante camminarci sopra, alle 9 di sera, nessun rumore sullo sfondo, solo il mare e il vento e le i miei passi sulla sabbia. La mia vita sociale è tutta qui, in riva a questo mare, che mi dispiace di lasciare anche se è tardi e si deve tornare, come se non lo ritrovassi, ancora, il giorno dopo, e quello dopo ancora. Da qui si ha una visione del mondo tutta speciale, ci si possono permettere dei lussi semplici e rari, si potrebbe stare ore  a guardare le onde, il cane che corre dietro i gabbiani, e seguire con gli occhi questa curva perfetta di questa spiaggia perfetta e mia, di questi colori che amo e che mi dispiace lasciare,  anche se tra un pò fa buio, e speriamo che domani ci sia ancora, così bella com'è.

11 luglio, 2010

Cicale.

Non c'è grande differenza tra la domenica e gli altri giorni. Non qui, almeno. Ci si sveglia col rumore delle cicale, che fa pensare che anche oggi sarà caldissimo, ma che c'importa, in fondo. Il suono delle cicale lo amo da sempre, non mi spiego ancora bene come fanno a farlo così all'improvviso. E' la mattina delle cicale, questa qui. Anche il mio Sposo al telefono mi ha detto Le Senti le Cicale? e le sentivo davvero, quelle di casa e quelle di qui, n un concerto solo,  non mi sembrava nemmeno di essere così lontana. Le cicale lo fanno apposta. Sanno che il loro suono incanta, sanno benissimo che staresti ore così, ad ascoltarle e a guardarle lontano, scarmigliata, ancora, a seguire i pensieri che hai, nessuno brutto, davvero, nessuno triste, ma solo bei pensieri di quelli che fa piacere avere da pensare, di quelli che ti fanno dire Sto Così Bene. Il canto delle cicale si ascolta ad occhi aperti,  fissi in un punto che non sai, forse nel mare pitturato là in fondo, forse nel verde dell'olivastro che si muove appena, c'è un pò di vento,  un pò di più degli altri giorni e se sei sulla terraferma non ti importa nemmeno di sapere come si chiama, non li hai mai imparati e mai lo farai, zuccona che sei, inversamente proporzionale alla precisione e alla rosa dei venti. Quel che c'è, è che è una mattina perfetta, immobile nella sua luce dorata di sole che solo qui, di cielo che solo qui, di rumori che solo qui, la perfezione che fonde insieme grilli e fruscii di foglie, profumi di rosmarino e vento salato,oleandri opulenti e fieri olivastri, cicale di mare e cicale di collina.

08 luglio, 2010

Funziona?

Sembra funzionare. Una sapiente mistura di sonno e mare e acqua e sabbia e rocce e chiacchiere e knitting forsennato ogni volta che mi va, e dovunque mi trovi, sul terrazzo di S. che guarda il porto o a gambe incrociate sulla spiaggia, che curioso vedere una che knitta da queste parti. Mi prendo cura di me e dei miei pensieri, li metto in fila uno per uno, dò loro una rassettata, una spolverata veloce, e quelli che proprio non sopporto li guardo bene, di sotto in sù, me li rigiro tra le mani e, se il caso, li elimino con eleganza, e pure con una smorfia di disgusto, via, tu non mi servi più, di te non so più che farmene, mi hai fatto abbastanza male, diavolo di un pensiero che più che pensiero ti chiamavi angoscia, ma vaffanculo pure tu. Così, con grazia e leggiadria, vivo i miei giorni pressochè solitari nell'Isola del Vento, a fare nulla o quasi, colazioni interminabili, il tempo è un fatto relativo, non so mai che ore sono e non mi importa granchè alla fine. Ho comprato un orologio di plastica viola da un ambulante senegalese, quello che ogni anno mi chiede come sto e come sono cresciuti i miei bambini, fa un pò come il bagnino di Varigotti, qui i bagnini non ci sono, o se ci sono hanno la basettona, l'occhialone  e il muscolo d'ordinanza e tutt'altro guardano che se  son cresciuti i tuoi bambini. La cura per il recupero psicofisico della scrivente sta cominciando a dare i suoi primi frutti, il color sogliola e le occhiaie di una settimana fa non si vedono più o quasi. Così mi ripiglio, ad aspettare la mia famiglia al gran completo, che il chiasso e la fila dei costumi come in colonia mi manca già, che ho pensieri morbidi e gradevoli a formularsi, che mi sento come convalescente o quasi guarita che in fondo è la stessa cosa, che mi guardo e mi sorrido e che questo beato nulla fa così bene alla mia stupida anima, e che so per certo che tra giorni tre questo meraviglioso orologio viola grande quanto un televisore smetterà di funzionare, ma alla fine, dico io, che importanza può avere.

06 luglio, 2010

Neverending Forest.

Appena l'ho tolto dai ferri ho detto. Gulp. Forse ho esagerato. Poi mi ci sono avvolta e detto. No, invece. E' proprio così che lo volevo. Il mio primo Forest Canopy, quello difficilissimo, quello che sembrava non dovermi venire mai, quello in cui mi ci sono incaponita per pomeriggi e sere, quello che ho disfatto quasi con le lacrime agli occhi,  quello che ho scoperto un pomeriggio di fine maggio sulle spalle della Manu e lì c'ho avuto un travaso di bile e ho detto lo voglio anche io, e alla fine, ce l'ho. Finito, lavato, bloccato, tirato, immortalato, giammai stirato, perchè così dice la Vice che si blocca ma non si stira, che il lavoro lo fa il sole e gli spilli, in quella specie di rito woodoo che è il bloccaggio di uno scialle. Insomma, confusamente, dall'Isola delle Rocce e dei Sonni Pesanti,  ecco tutto. E' color bouganville, atto con un cotone lucido e brillante, che si chiama Brilla, appunto, e attraverserà con me questa grottesca estate duemiladieci. Date le sue dimensioni, gli usi sono molteplici. Sarà scialle e pareo, sarà felpa e gonnina, a seconda di come lo vorrò utilizzare. "Tenda del salone!" Chi è stato? 

05 luglio, 2010

Mondana.

In effetti fa ridere, è la cosa più snob del mondo arrivare in un posto del genere quando tutto è finito, quando tutt'intorno è un aggrovigliata matassa di cavi e riflettori, di lustrini smontati, di camion pieni di cose. Sono arrivata così puntuale, per la colazione al bar della piazzetta e poi per le chiacchiere in piscina, ma da quant'è che non chiacchieravamo così tanto. Stare con le mia Amica della Tv è un pò come sfogliare un rotocalco, solo che di solito le cose te le racconta, e oggi invece erano tutte lì, e qualcuna me l'ha pure presentata, di questi personaggioni della televisia, che non vedrò mai più in vita mia, se non appunto, alla Tv che peraltro guardo anche pochissimo.  Descriverò due cose belle di questa giornata, passata per forza di cose nella piscina più finta del mondo quando a un quarto d'ora hai il mare pùi incredibile del mondo, ma ci andava di stare lì, non aveva molto tempo per scorrazzare nelle spiagge con le dune e  le chiacchiere da bordopiscina non si possono fare in riva al mare, non viene bene. Le due cose belle di quest'oggi sono la mia Amica e i Frullati di frutta. Fine. Bella giornata, comunque. Abbiamo fatto risate sceme su persone  serissime o pseudo tali, visto bambine con musi lunghissimi, ci siamo rosolate come polle arrosto e nuotato nuotato nuotato nella piscina gelida con le rocce finte, verificato che avevamo lo stesso smalto, sparlacciato e confabulato. E imparato, uh, se ho imparato!

04 luglio, 2010

Intanto, il vento.

Ci voleva il vento. A cullare. A carezzare. A far cantare le cicale. A calmare, in un certo senso, proprio il vento che di solito un pò mi agita, mi piace, certo, ma mi inquieta. Ho detto di solito. Quello che si è alzato questa notte, quello che soffia a raffiche precise, che inventa per me rumori nuovi, che porta fin qui i profumi che prende chissà dove, si è preso cura di me, stavolta. Ha dato alla mia anima squassata un potente intruglio per farmi stare bene. Stolti son quelli che credono che vada sempre tutto così perfetto. A volte si scivola e si cade e si inciampa e si rotola, e si rovina giù da burroni e discese di sassi e di sterpi, e ci si sbucciano i gomiti, le ginocchia, ci si graffiano le gambe, la faccia, e pure il cuore che non è che ci si possa soffiare sopra, disinfettare, un cerotto e via.  Il cuore no. Ma il vento mi ha guarito. Dai lividi, certo, e regalandomi una tranquillità tutta nuova, e bei pensieri, e progetti, e voglia di farli, cancellando l'immobilità, la sensazione di pesantezza, di inadeguatezza, di Stavolta Non Ce La Faccio. Ce l'ho fatta invece. E mi godo questi giorni lenti, mai successi prima, con una formazione inusuale, per me,  un solo figliolo e un suo degno compare. Il resto della famiglia sparsa, non lontana, arriveranno presto e tutti insieme in questa casa che non si lascia mai davvero, e dove si torna sempre con un amore speciale. Si può scegliere, indolenti, se dormire o no, se leggere o no, se guardare lontano o fare a maglia, se passeggiare fino alle rocce in fondo al prato, se mare o no, se scrivere o far nulla. Intanto, il vento.

01 luglio, 2010

Fior di limone.

Quest'anno il limone è una quercia. Verdissimo, profumato, imponente. Pieno zeppo di fiorellini delicati che si mescolano alle foglie lucide. Sarà un raccolto abbondante. Così diceva, nella mattina del primo luglio, lo sguardo perso verso il mare piatto, fa già caldo, osservava, eppure è ancora mattina presto, nessun vento e nessuna nuvola. I pensieri della scrivente sono buttati in un angolo alla rinfusa, come i fogli di cellophane quando ti arrivano i mobili, ne ho fatto un groviglio confuso, li ho arrotolati su loro stessi e cacciati lì, spero di dimenticarmi dove li ho messi, spero di cercarli e cercarli e di non riuscire a trovarli, come mi succede spesso con gli occhiali, le chiavi, gli anelli che tolgo per lavare i piatti. Dovrei curare una stanchezza che non vorrei, io non dico mai Sono Stanca, e forse non lo sono nemmeno ora, in realtà, o forse, non lo dico mai per decenza, perchè così mi hanno insegnato, perchè stancarsi non mi appartiene, stancarsi è la resa, il lasciarsi sopraffare dalle cose, dagli eventi, dalle burle semigravi della vita di ciascuno. Mi lascio così, a guardare gli spruzzi che bagnano il giardino, passando dagli spruzzi al mare piatto, al prato, alle rocce, ancora agli spruzzi e via così, fino a quando mi faranno male gli occhi dal tanto passare da una cosa all'altra, ma così, sembra che la mente non pensi a nulla, che l'impianto sia fermo, che ci si sia anestetizzati un pochino, si è in un posto così bello che sarebbe un delitto vero stare male anche qui. Ci vuole tempo, signora mia, lo lasci dire a me che di queste cose ci capisco, faccia di questi giorni dei  giorni belli e tremendi da ricordare con un sorriso di compiacenza fra un pò, come a dire, è passato, guardi i fiori del limone, ci tuffi la faccia dentro per berne il profumo di pulito e di bianco, sono anche un pò viola se li guarda bene. Ne metterò qualcuno in una ciotola di vetro, con l'acqua trasparente e qualche petalo colorato. Farò un piccolo giardino zen dove posare lo sguardo, stanco di tanto blu, tra quello del cielo e quello del mare, dal colore di niente degli spruzzi di acqua sul prato. I fiori del limone saranno un rimedio, la ricerca della pace,  un'invenzione per i pensieri pesanti, che, guarda un pò, sono gli unici che trovi all'istante,  appena mi giro, non appena mi metta a cercarli , appena mi chieda dove li ho messi.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...