30 marzo, 2010

C'ha pure le ruote.

Proprio non ho resistito. Potevo forse lasciarlo dov'era? Mi succede spesso, sono quella degli acquisti scellerati, delle cose totalmente inutili e totalmente assurde. Già con questa qui non mi avevano compresa, non avevano colto il mio raffinatissimo gusto, la mia sottilissima ironia, la mia metafora, il mio intrinseco, eccetera. Ieri, sono arrivata con lui. E' un cestino da lavoro, abbèlla, lo avevamo capito. Ma è un cestino da lavoro anni 50, con tanto di cassettini interni, che vanno sù e giù, è di legno ma non so quale, ha le sue belle maniglie in orozecchino tutto tempestato di pietre preziose, un bel ripiano in fondo, e, meraviglia, c'ha le ruote. Questo particolare me lo ha fatto adorare pressochè da subito. Come, le ruote? Mai visto un cestino da lavoro con le ruote. La mia amica Nicoletta, che di queste cose se ne intende, e infatti, arriva proprio dal suo negozio, dove io mi perdo ogni volta, ha capito subito. Al mio OOOOHHHHH di giubilo non ha potuto far altro che aggiungere, Ok, Prendilo. Tanto, sapeva che sarebbe finita così. L'ho pulito con la massima cura, lucidato no, perchè ha quell'aria saggia e austera e un pò passata che mi piace tanto, ho lucidato con delicatezza le maniglie e le ruotine, e ho cominciato a riempirlo. ora, il mio cestino da lavoro nuovo di zecca fa bella mostra di sè nella mia cucina, proprio accanto al divano. Il resto degli abitanti della casa in collina, manco a dirlo, l'hanno guardato con sospetto prima, e con noncuranza poi. A Cosa Serve. Che Roba è. Ussignur. Questi i commenti. Stavolta, nemmeno la Princi mi ha dato manforte. Ma Mamma, è Da Zia. Vedi, bambina, io zia son del suo scellerato cugino e quindi, già ci siamo. E poi, fossi una zia con le calze riposanti, la lacca e lo smalto perlato, capirei. Ma ancora lontana sono da quegli orpelli, in grazia di Dio, e poi, tu sai, la tua mamma si fa dei viaggioni, soprattutto quando va da Nicoletta e vede cose e cose che provengono da case e case, e allora immagina, inventa, lo sai, questo cestino magari era di una signora coi capelli raccolti e la gonna di tweed, ci teneva le sue cose del cucito accanto a una poltrona di velluto verde, ascoltava la radio a valvole nel salotto buono, mentre rammendava calze con l'uovo di legno dentro e ricamava cuscini a piccolo punto. Suo marito insegnava filosofia all'Università, lei dava lezioni di pianoforte. La sera, sul tavolo della sala, portava una zuppiera bianca col bordo dorato, ascoltava i figli, chiedeva loro della scuola, e lanciava loro certe occhiate se non sistemavano con cura il tovagliolo in grembo e poi...e poi...Ok, Mà, Vado Di Sopra, Carino 'Sto Coso. Ingrata figliola.

29 marzo, 2010

Se prego a che serve.

Ci ho anche provato. Ci avevo, anzi, stamattina, e anche ieri, a pensarci bene. Ho cominciato e smesso almeno dieci volte, così non va bene. Che qui, nessuno dimentica e allora magari non ne parla per un pò, ma poi tutto diventa così prepotente e vivo e il ricordo così ruvido e ingombrante che si fa fatica ad evitare, non si può, nè si vuole. Il giorno, è lo stesso di un anno fa, persino il tempo, fiori un pò dovunque e aria bassa, ma limpida, come sciacquata, pulita. C'è una messa, dicono, da qualche parte, in paese, forse, o al camposanto, forse ce ne sono addirittura due, perchè due erano loro e allora due sono le messe. Ma io prego da me. Prego sommessa, a mente, senza nemmeno bisbigliare, è così che mi hanno insegnato. Ma prego perchè. Prego a chi. Prego cosa. Prego per cosa. Prego e ringrazio? Di non essere io la mamma di uno dei due? Che non so cosa dal Cielo ha voluto così, che non fosse lui, che non fosse il mio, che non fosse lì? Prego chi? Un Dio in cui credo e che non trovo? Un Dio che punisce e dispera? Un Dio che è troppo lassù e distante e che forse nemmeno mi sente, adesso? No, invece, adesso ascoltami. Io non so se le mie parole arrivano fin lì dove sei tu e non so nemmeno dove sono loro adesso, se nella luce che dicono sia Tua o sopra le nuvole, o a quella Festa Eterna a guardar giù, a guardare dall'alto quelli che hanno lasciato qui, sgomenti e straziati, occhi asciutti, fiori freschi e passi stanchi sui ciottoli del camposanto. Ascoltami, se pregare non so, se dire non so quel che sento davvero, ascoltami le parole che non escono da me, ma che penso e immagino e restano lì, come attaccate, ascoltami i pensieri, ascoltami i singhiozzi di mio figlio che sento ogni tanto dalla porta chiusa, ascoltami le fotografie e i cd che tiene sul tavolo da quel giorno, ascoltami i silenzi, ascoltami la rabbia e la tristezza, ascoltami il parlare fitto sulle panchine, fino a sera tardi. Ascolta, Dio del Cielo, ascolta se vuoi, ascolta se vedi e sai, ascolta e consola, e tu solo che puoi, abbràcciali, abbràcciali per me.

26 marzo, 2010

Hanno rubato il cielo.

Chi si è fregato il cielo, stamattina. Lo hanno rubato le anatre, come quelle del lago gelato, e adesso il lago è da qualche parte in Georgia. Lo hanno rubato i pettirossi e se lo sono portato via, il cielo è indaco, questa mattina, è un colore che si abbina al rosso delle loro piume. Chi ha colorato il cielo, chi l'ha lavato con la candeggina, come quando un calzino blù finisce nella lavatrice delle lenzuola bianche, e allora sì che si ride di gusto, bel colpo, l'intero bucato color topo ma chiaro, che non è grigio e non è bianco e sa soltanto quello che non è. Sì, lo so, è una delle mie frasi preferite, ma non si cerca nella letteratura russa del XIX secolo, è una frase di un film di animazione che piaceva tanto ai miei figlioli maschi poco più che treenni, e quante volte a rimettere la cassetta nel videoregistratore, sì, la preistoria, alla fine, quando il gabbiano diceva "Non è cane, non è lupo, sa soltanto quello che non è" e io, loro mamma inesperta coi capelli lunghissimi e una treccia fino al sedere, che mi venivano gli occhi lucidi mentre tagliavo la banana a rondelle per merenda. Hanno rubato il cielo, lo hanno piegato per bene, messo in una valigia senza ruote, e portato via, era un signore col cappello, un forestiero, lo hanno visto sparire in fondo al viale, e non è tornato più, aveva un cappotto marrone e uno strana luce negli occhi, un ghigno beffardo di chi la sa lunga, di chi non sa nè da dove viene nè dove andare, ma cammina e cammina, finchè diventa un puntino laggiù, e i bambini del quartiere a corrergli dietro, e a dire, Ridacci Il Cielo, ma forse lui nemmeno parla la loro lingua o fa finta, o chi lo sa, perso dietro ai suoi pensieri, distante da ogni cosa. E il cielo che non c'è è lì, piegato dentro la sua valigia di cartone, e lui cammina e cammina, ha le scarpe rotte e il cappotto liso, e alla fine si fermerà stremato, e si allenterà il collo della camicia e si siederà al bordo del fosso e si asciugherà la fronte con un fazzoletto stropicciato e aprirà la sua valigia di cartone, e scrollerà quel cielo che ha ben piegato e lo guarderà splendere, lucido e luminoso, era un forestiero, un saltimbanco, un sognatore, un uomo solo e perduto che voleva il cielo tutto per sè.

25 marzo, 2010

U-gua-le!

Arancionissimo.

L'ultima produzione in lana di questa stagione invernale che sembra non avere fine. L'ultima copertina in lana per Cuore di Maglia, dopodichè, solo cotone, cotone e cotone. E' un arancione carichissimo, è morbida e avvolgente, ha due belle trecce, si fa coi circolari, la lana è Debbie Bliss. Poche, basilari informazioni. Arrivano da ogni parte d'Italia le copertine e i cappellini e le scarpine per CdM e forse dovrei parlarne qui, ma in fondo il confine non è poi così netto. Oggi un altro Knit al BioCafè, è giovedì, bellezza, giorno di chiacchiere e di scialo e di progetti, il Camp che va alla grande, le consegne e le spedizioni, e già, nelle città troppo lontane, ma niente è lontano per CdM e allora va bene. Si prendono appunti per una giornata gradevole, si trovano situazioni e spigolature, fermo immagine e inquadrature, per fare andare tutto come devo andare, nei binari giusti, nel modo giusto, alla giusta velocità, nel senso di marcia che va bene, non come in treno che a volte sei seduta al contrario e vedi le cose scappare via, no, ci si deve sedere con grazia e cognizione, e vedere le cose che vengono incontro, avere il tempo anche di leggere il nome delle stazioni senza farsi venire mal di testa. Quando ci sta la salute, e personalmente ci ho già pensato questa mattina, un bicchierone d'acqua fresca dove ho sciolto ogni tipo di vitamine, magnesio, e chissà cos'altro, dacchè al Supradyn mi sono assuefatta e, mi aiuti a dire, c'ho bisogno di roba più forte, per farmi dei viaggioni, dicono i miei figli, per tirarmi sù, dico io, che è meglio. L'intruglio non è male, certo, sa di medicina, ma chemmimportammè, basta che funzioni. In the frattime, mi preparo al knit di oggi, indolente ma lucida, lenta ma presente a me stessa, storneggiata ma andante, allegra ma non troppo, una cosa che va bene, alla fine. Finirò questa coperta arancionissima, farò un pane, imbastirò una cena dacchè tardi arriverò al desco familiare, tiro giù la serranda e per qualche ora non ci sarò per nessuno. Il magnesio fa miracoli. Come, di già?

24 marzo, 2010

Se sto così.

E se sto così, sarà la primavera. Così. Come non me lo spiego, così. Piatta e confusa. Assonnata e inconcludente. Energia, come Bolzano, -2. Che bello quando leggevano le temperature alla tv. Bolzano era sempre -2. Come me adesso. Meno due o meno mille, che differenza c'è. COme se mi avessero messo le pile al contrario, sono nuove, ma vedi, ancora non hai imparato a mettere quella piatta vicino alla molla e quella col pirulino dall'altra parte. Si impara così, si imparano così le cose, ci si danno dei codici, si insegnano anche, la destra è la manina bella, la sinistra quell'altra, a fare i nodi alle scarpe, prima fai un pancino e poi ci leghi intorno la stringa, lo vedi? Che mi insegni qualcuno a uscire da qua, dalla latta di vernice collosa dove sono scivolata, da queste sabbie mobili scintillanti di glitter, ho pitturato oggi, sto facendo delle cose per il Camp, sarà quello che mi suggerisce tutta questa metafora, sono in un barattolo di Vinavil, mi ci sono fatta la doccia e adesso il Vinavil è diventato secco, e nessuno che prima che si asciugasse mi ci abbia incollato una figurina con un sorriso, un fiorellino, qualcosa di buffo. Non sto male. Sono un pennello lasciato fuori e non sciacquato, inservibile, ci devi lavorare per farlo tornare utile, sono carta stropicciata, e nemmeno i fiori che ho visto finalmente, son serviti, margheritine, nontiscordardime, persino le violette in fondo al pratino e che delizia lasciare la finestra spalancata e respirare l'odore che c'è di sera se è una bella sera, terra, forse, foglie nuove, fiorellini appena appena, le gemme, i germogli invisibili delle ortensie, l'erba fresca, il cielo, finalmente, allora è vero, se sto così, sarà la primavera.

23 marzo, 2010

Le cazzate son carezze.


Ho creato un caso. Strano orpello, questo del blog. Una si sveglia, si sente storta, stortissima, inversa come Po e che fa? lo scrive. E scrive subito dopo che, magari per non farsi prendere dagli eventi, dalle cose, per non centrare in pieno l'entrata del tunnel ma di scansarlo via via, pensa a una cretinata, che so, calze a pallini, un profumo che sa di bosco, e, alla fine, l'Introvabile Smalto. Il delirio. Sù e giù per lo stivale tutto, in ogni angolo recondito dell' Italica Penisola, tutte a dannarsi, a farsi degli sbatti da cinema per trovarlo. Ho perciò una mappa ben precisa di tutta la vicenda. A Firenze, lei lo ha trovato, alle amiche non è granchè piaciuto ma lei chissenefrega, lo ha adorato all'istante. All'alba di stamani, da Perugia, la Vicina del 12 mi manda un secco Quaggiù Niente e dopo qualche ora, TrovatoMaCheGuerra, che già me la vedevo, compunta ed educata a strattonare il prezioso boccettino dalle mani di un'altra sciura, indegna di tale sciccosissimo liquido color tortora/mauve. Due Avvocate a Torino, dieci minuti in Corte d'Appello e tutta la mattina in giro per negozi e vetrine e scintillar di cose, anche loro in missione, ancora non so l'esito ma relazionerò appena saprò. Da Alba invece non si va tanto per il sottile, si scorre mentalmente la rubrica, Vediamo, dice, Potrei chiedere a, nientemeno che in Azienda maccerto, come ho fatto a non pensarci. La mia Amica della Moda lei sì che ci sa fare, se ci fosse ancora la Coco buonanima, non si farebbe scrupoli a suonarle il campanello, Scusi, Avrebbe un Dado, e mentre c'è, venti boccettini di smalto, lo sa che le mie amiche ne vanno pazze? Questo è l'antefatto. La tesi è. Che mi ci hanno fatto pensare, che ognuna di noi ha figlioli scellerati e mariti complicati e impegnativi, e case cui badare, e lavori, che vanno sì, che vanno no, che vanno così, e ansie e paure, e casini inenarrabili, e questioni e debiti e faccende e depressioni e nervosi e cattiverie e grane e situazioni. Che a pensare alle cazzate, si dice a Perugia, male non fa. Stacchi un momento, non è detto che le cose si risolvano, anzi, certissimo che no, ma almeno lo fai un pò sorridendo, che non ci hai pensato per un pò e già ti senti meglio. E con una manicure piuccheperfetta, che di questi tempi, mi aiuti a dire, son soddisfazioni.
Alle mie Amiche sparse un pò dovunque, felice di farvi una carezza anche da qui.

Anemoni e pastelli.

Li vuoi? Sono i tuoi fiori preferiti, un pò volgari, a dire il vero, con quel bottoncino nero al centro e tutti quel colori forti, e quei petali sconnessi e scomposti. Non hanno il rigore delle rose, la semplicità delle margherite, la complessità delle ortensie, l'eleganza delle orchidee. Ma fanno allegria, disordine, un allegro disordine, un'allegria disordinata, per giocare con le parole. E' divertente. Fuori la nebbia fitta, qui gli anemoni colorati. La mattina va così. Pioviggina e pioviggina, non fa nemmeno un bel rumore, anzi, se non guardi bene nemmeno ti accorgi che piove, devi strizzare gli occhi o guardare i tetti o per terra, per poi di dire, Ma Di Nuovo. Sì, di nuovo. Un mazzo virtuale di popolani anemoni, villani nella loro colorata sfacciataggine, ce li avevo anche nel mazzo da sposa, non era mica usuale, tutti volevano mughetti e rosine candide e io no, voglio gli anemoni, li han trovati chissà dove, il fioraio era impazzito, mi ricordo bene. Impazzirei anche io se li volessi trovare stamattina, ma che m'importa, ce li ho, è una bella foto, li posso guardare e guardare, colore e colore per il seppia che c'è fuori, una fotografia dentro a un baule, di quelle di cartone spesso con il nome del fotografo stampigliato in oro, io no, voglio una foto colorata sul BlackBerry, altro che cartoncini polverosi di muffa e naftalina, la stessa del mio cervello, credo, che non ne vuol sapere ogni tanto, ma se ne sta lì, sotto sale, bello spianato a non funzionare, a non fare nulla, odioso di un cervello. Confusa più di ogni mattina, sciroccata più del solito, oggi non cedo al grigio, oggi non mi lascio catturare dal Totano Gigante, oggi voglio colori e colori, oggi non penso, oggi il mio cervello balla e corre, non mi immusonirò, non starò lì a frignare e a lamentarmi del tempo e del raccolto, mi metto un rossetto, mi faccio la coda, gli occhiali da sole, oggi coloro, mi porto i pastelli, non si sa mai.

22 marzo, 2010

Voglia è un'altra cosa.

Ci si è fatti una specie di training, questa mattina, Alzati, che è Meglio, Vedrai che Giornata Luminosa. Sì, certo, come no. A guardar fuori vien la nausea, a guardarsi allo specchio uguale, un bel colorito nebbia, sono tutt'uno con l'universo e l'universo è parte di me, mi sono mimetizzata col cielo, ho una faccia color di niente e gli occhi fermi, e ferma sono anche io, ma si può iniziare la primavera in questo modo, e non solo per il tempo atmosferico, echissenefrega alla fine, ma con questa ciondolante indolenza, con questa zero voglia di zero, con questa faccia un pò così che abbiamo noi, e nemmeno ci vado a Genova, che magari là c'è il sole e col sole cambia tutto, cambia il riflesso, cambia la prospettiva, cambia la luce, cambierebbe anche la mia faccia, mi sa, che nessun fard illumina, stamattina, che di cose un mucchio e di voglia nessuna, eppure ero partita bene, oggi sarà una bella giornata, più che un proponimento una supplica, eddai, fai di quest'oggi un giorno decente, ho adocchiato due margheritine nel prato, si vede che la primavera non ne può più di giocare a nascondino con la pioggia e il gelo e le calze e gli ombrelli, e allora, che salti fuori, accidenti a lei, e dia una mano di colore tutto in giro, così, a casaccio, che rovesci la vernice un pò dove capita, compresa la mia faccia, e che mandi del seltz, della Citrosodina, del gas nonsocosa per darmi un tono. Nel frattempo, porto in giro una faccia di seppia, mi trascino ciondolante, guardo fuori e mi vien la nausea. Bel colpo.

19 marzo, 2010

Introvabile.

E' un colore non definito, tra il mastice, il tortora, il beige, il marroncino. Quel che so è che è un must. Mi piace, sì, o meglio, comincia a piacermi, nel senso che appena l'ho visto ho fatto bleah!; il quarto d'ora dopo mi sono detta Mah! e adesso lo adoro. Banderuola che non sono altro, ma in effetti è un pò azzardato, dopo anni di militanza Rouge Noir, passando per il Blue Satin, approdare con leggerezza a questo 505 Particuliére che è già esaurito dovunque. Le fashion addict lo ben sanno, è così cool, così improbabile, così bon ton, così dannatamente chic. Si vedrà. Certo, il colore dà il meglio di sè sotto il tiepido sole primaverile e questo fine settimana tutto promette tranne che sole, venticello e fiori di pesco. Ma intanto, si fa una specie di esercizio, lo si guarda con attenzione, si cercano sfumature e somiglianze, sembra anche un pò mauve, a guardarlo bene, come fa a non essere bellissimo? Un oggetto del desiderio, la vera novità di questi giorni imperfetti, un cucchiaino di frivolitudine nel folle impasto di una vita frenetica e incasinata, tra figlioli e questioni, mariti illustri e amiche storneggiate come e più delle scrivente. Si prova un pochino, appena dopo la doccia, si stende con cura, su un dito soltanto e lo si guarda da lontano, la mano tesa, la faccia dubbiosa, a dire, Come Sta? Lui, il famigerato 505 Particuliére va provato nel chiuso della propria magione prima di sfoggiarlo in pubblico, eccerto, dacchè io già lo possiedo. Imperfetta sì, storneggiata anche, ma dilettante, giammai.

Preparativi.

Non è che si sta lì a guardar per aria. Non è che che si sta in panciolle, noi qui. Ce la suoniamo e ce la balliamo. Nel senso. Da qualche giorno in qua, diciamo pure un bel due settimane, noi qui, si lavora. E non solo le occupazioni canoniche di ciascuna di noi. Noi, si prepara. Si organizza. Si prenota. Si fa. Si trovano location, si stendono programmi, tentativi di agenda, si invitano ospiti e relatori, si cerca di spuntare prezzi e regalie, si scelgono menù, ci si divide i compiti, allora tu fai questo e io quello, la scrivente, la Vice detta Vais, Biancaneve, la Stilista, insomma, tutte a dannarsi per organizzare nei dettagli più nascosti quel che sarà una delizia. Noi, ci si incontra a maggio. Noi si è inventato un Camp unico nel suo genere, per ora. Noi di Cuore di Maglia si ha voglia di guardarci in faccia, di sapere chi è da Roma e chi dall'Aquila, chi da Firenze e chi da Torino. Noi ci si trova. un week end di maggio, sulle colline. Chiacchiere, workshop, regali, cose serie, anche, abbiamo voglia di mettere insieme le cose che abbiamo fatto, le cose che abbiamo fatto insieme e dare un volto a questo insieme, vogliamo fare una festa, farci un regalo, una cosa così. E poichè saremo tante, affrettatevi entro domenica 21 a prenotare qui, saranno due giorni bellissimi, ci sarà il sole, i fiori, le colline, un sacco di cose da dire e tutte noi. Pare poco?

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...