10 dicembre, 2008

Devo spiegazioni.


E' una specie di fagotto. Un gadget. Una cosa di pelo liscissimo, ha per naso una Morositas, le orecchie pendule, gli occhi dolci e un pò così, come a dire, fate di me quello che volete. La cercavamo da un pò, volevamo un cucciolino da accudire, dacchè non c'è molto da fare in una casa come questa, ed è tutto uno sbadiglio e uno zapping e un darsi lo smalto e farsi la piega. In realtà, è un regalo di Natale, il primo fatto e ricevuto. E' un cucciolo buffissimo di Cavalier King, una specie di Lilly e il Vagabondo, mi dicono. So bene che è una cosa da folli. So bene che tutti mi dicono CheCoooooosa? Un altro cane? No in verità non è mica un cane, questo qua. E' un giocattolino, un peluche, a metà tra un neonato e un Nintendog, è tutto bacini e leccatine e sguardi languidi e coccole, e nanne lunghissime in braccio a questo e a quell'altro, vero è ben che non le manca la compagnia, qui dentro. Lei, che ha nome Tiffany, ha due mesi appena, e ci ha fatto uscire di senno un pò tutti, il Giurisprudente compreso, che ha buttato alle ortiche la sua fama di bello e impossibile e si sdilinquisce con questa piccina in mano. Gli altri animali di casa non fanno una piega. Beverly la annusa e ci guarda, come a chiederci Ma Che Cos'è? salvo poi spingerla col muso per aiutarla a fare le scale. I gatti, beh, nemmeno loro hanno capito che è un cane, nella stessa uguale misura in cui Tiffany ancora non ha capito che loro sono gatti, nemici storici, a cui ringhiare, a cui fare gli agguati, ma coi quali lei, per il momento, vuole solo giocarci. E noi qui, il mio Sposo soprattutto , a studiare tabelle di alimenti, e di aumenti di peso, esattamente come se fosse un figliolo, solo, un pò più peloso, sdilinquito, pure lui. E il Junior Ing. che chiama per sapere come sta, il Liceale che si addormenta con lei sulla pancia, la Princi che le suona Mozart. Fuori la neve e il gelo, qui appuntamenti per vaccini e microchip, e lezioni di buone maniere, una cena per duemila sabato prossimo, una tonnellata di regali ancora da fare e deliri vari ed eventuali. Per il resto tutto bene, grazie.

L'altra vita.

Sono passata a salutarti, così, perchè ti ho visto dalla vetrina, che avevi lo sguardo perso di fuori, a guardare i passi della gente, la strada gelata, le cose di fuori, il niente. Ti ho abbracciata e ti ho stretta, non si chiede come stai a chi come te non ha più cuore per rispondere, che sorride e sorride, ma senza occhi a luccicare, come una stanchezza opaca, filtrata da un dolore sordo e così grande che si fa fatica a trasportare di qua e di là, e si cerca e si prova, come a spostare uno scoglio, ci hai mai provato? o a spingere la macchina con la marcia, che non si sposta, è ovvio. E' un dolore che conosco e che so, so perchè l'ho mescolato anche io, ci ho abitato anche io, mi ci sono addormentata e svegliata e lavata e vestita, accanto a lui. Per questo forse, questa cosa mi ha così stordito, e ci penso così spesso. Leggi Ancora le mie Fragole? No, mi dici smarrita, come a scusarti, Appartengono a Un'altra Vita. Che vita vivi adesso, che vuoto mescoli a colazione e fino a sera, che persa che sei, che cosa ti racconti e racconti alle tue figlie, che risposte trovi e dove. Il Cielo non ha ragione, qualche volta, e spara a caso, e sceglie senza una logica chi far piangere di più. sulla terra. Io non ho le parole giuste per te, anche se me ne sono raccontate tante, ero una ragazzina e mi ci vedo così tanto nella tua più grande. L'altra vita forse è giusto lasciarla Là, dov'è. E vivere questa, fino in fondo, a mangiare questa malinconia devastante fino all'ultima briciola, fino a quando a passare le mani sulla tovaglia non ne troverai più nemmeno una. Il dolore non si rimanda, si sbriga come una pratica pesante, subito. Durerà. Ma mi conforta quel tuo sorriso stanco, so che lo sai e che sei pronta. Non passerà, se passare vuol dire mandarlo via. Solo, non ti devasterà così come fa ora, non ti schiaccierà, ma ti sarà vicino, accanto, di lato. Non ci si abitua, ma ci si allena per farlo, per sempre, per tutta la vita. Io non avrei il coraggio che hai tu, la forza che hai tu, il rigore, la compostezza, la dignità. E non riesco a dirtelo perchè mi sale un magone che mi squassa e non è mai il luogo e il momento. Il Cielo spara a caso, è vero. Ma insieme alle lacrime manda una Luce, uno sguardo che accompagna e scalda, una presenza che senti e vedi solo tu. E allora diglielo, quando puoi, quando la Luce si fa più forte, diglielo che grande moglie che ha, e che grandi figliole. Ma tanto, dal Lì dov'è, ma sì che lo sa.

06 dicembre, 2008

Zucchero a velo.


Si posa piano sul cuore, o dove ancora non lo so. Come sulle pere al forno, sulla torta paradiso, Piano, pianissimo, a piccoli fiocchi, leggeri, indefiniti, nella dimensione e nel colore. La tristezza non ha colore, e forse non si chiama nemmeno così, non è l’ansia, che quella la conosco così bene che la potrei disegnare, così, a mano libera, senza nemmeno i quadretti, eccome se la so, se la conosco. No che non è ansia: quella ti piomba addosso come un sasso, come i blocchi della neve che si scioglie e che volano giù dal tetto e sbattono di colpo sul terrazzo, su divanetti colorati della primavera, sulla mia pianta di salvia che di certo morirà, che sciagurata, lasciare la salvia fuori nel vaso, con questo gelo, ma era così bello vederla lì davanti alla finestra. Questa che ho non è ansia, è più piccola e sottile, è polvere, quella che trovi sotto il letto dopo un giorno di vento, sottilissima, impalpabile, coma cipria, borotalco senza profumo che ti cola giù, giù, fino in fondo allo stomaco e ti fa stare zitta e un po’ addormentata, ehi, ti svegli o no. E’ una malinconia romantica, nel senso più letterale del termine, troppo leggera per farti piangere davvero, ma per che cosa, poi, e troppo pesante per farti sorridere. Ti fa stare un po’ così, imbambolata, senza espressione e senza corrente, c’è qualcuno che ha staccato la spina, per caso?, triste di una malinconia soffice, malinconica di una tristezza che non traduci, che non sai, leggera eppure incomprensibile, e tu sei lì, a fare le cose di sempre, le stesse che ti rendevano allegra e ciarliera solo poche ore fa e che adesso ti fa dire, ma come, ma dove, ma quanto accidenti pesa questo stupido, inutile zucchero a velo.

05 dicembre, 2008

Bianco.

Mi è presa secca. Sarà che c'è ancora un sacco di neve in giro, e io guardo solo nei campi intorno a casa e sulle colline e nei prati, mica agli angoli delle strade, dove è brutta e grigia e nera, la neve è bianca e resta bianca, se proprio la devi guardare, guardala com'è, non come diventa. La voglia di bianco mi si è proposta così, all'improvviso, come quando ti va di traverso il succo del mandarino, che è un delirio, all'improvviso ti metti a tossire e tossire, eppure, stavi chiacchierando beata, ecco, te l'avevo detto che non si parla mentre si mangia, sì, vabbè, ma il mandarino! CIonondimeno, mi piace il bianco. In questo minestrone di viola, che è pure il mio colore maximo, quest'anno il mio Bianco Natale sarà proprio così, e mai nome fu e sarà più appropriato. Bianco. E basta. Che vero è ben che siamo ancora senza connessione e che per molti giorni ancora lo saremo, che ben concentrata mi son nell'allestimento natalizio della mia umile capanna, e bianco di qui e bianco di là, che non ho trovato uno straccio di fintissimo abete bianco esattamente come due anni fa non trovavo quello nero, che ho allestito con grazia e buon gusto (!) quell'alberino che il mare aveva trascinato sulla spiaggia di Palau 5 anni or sono...Bianco, si dice, bianco come le anime pure, bianco come il perdono, la serenità, bianco come la bellezza, come un giglio, il latte, la neve e il sole, quando il sole è bianco, bianco come il sonno, bianco come un bacio, uno sguardo, un sorriso che scalda nel freddo che c'è.

03 dicembre, 2008

Tagliata fuori.


Isolata. Emarginata. Fuori dal mondo, insomma. Senza internet, chiavette o connessioni o cose del genere delle quali poco comprendo, in realtà, ma che mi fanno sentire come in una giungla, in un'isola sperduta, sul cucuzzolo della montagna con la neve alta così. Mèndico. Una scrivania in ufficio per scaricare la mia posta, dacchè la mia umile casina non possiede più una linea, un guasto? un incantesimo? una magia? una fattucchiera ci ha messo del suo? uno gnomo burlone si è messo a giocare coi fili? un topolino li ha rosicchiati? un'intera famiglia di talpe/serpenti a sonagli/ghiri/iguane ci ha fatto la tua tana, proprio là, sulla stradina che porta la connessione a casa mia. I figlioli furenti. Come inviare messaggi d'ammoooooore, chi guardare su Facebook, come trastullarsi ore ed ore come tutti i fanciulli del globo terracqueo? E io, come avvisare il mio fedele pubblico (!) dei preparativi per le feste a Villa Villacolle, del muro blu', dei pettirossi, della domenica beata, del lunedì agitato e convulso, delle cose di ogni giorno, insomma? Ma il piu' arrabbiato di casa è Egli. Lui. Il Sommo Isoscele Altissimo Levissimo Purissimo. Lui che da casa ci lavora. Lui che tra poco farà anche un programmino per farsi il caffè. Lui, che gestirebbe al computer anche la cova e la deposizione, qualora gli pungesse vaghezza di acquistare una gallina. Egli è un bufalo, una iena nemmeno tanto ridens. Egli ha sbraitato per ore nel telefono, ieri, peraltro con scarsi risultati. Egli non sopporta di digitare, attendere, stare lì a sentire musichine, spiegare a ventiquattro operatori diversi che cosa diavolo è successo. Egli vuole la connessione, punto, dovesse venire anche Ilary Blasi, Abatantuono, Panariello e la Incontrada, insomma, tutti, ad installare una linea nuova. Così, in questa immensità, si annega il nostro essere isolati dal mondo. Ma so che Lui sta cercando il numero del Vaticano. Non mi stupirei.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...