07 aprile, 2008

La furesta.



E no che non è un errore di battitura. Furesta, intesa come forestiera, straniera, di passaggio. In stretto dialetto lombardo, con quella cadenza, che hanno solo qui. Vado poco al camposanto, o meglio, vado quando sono ispirata, preferibilmente sola. Ho voluto portare dei fiori nuovi, più colorati e più belli. Ci venivo da bambina, distratta, per passatempo, quasi, ad accompagnare mia nonna in visita. Si faceva spesso, allora, e lei si fermava a chiacchierare nei vialetti, l'innaffiatoio in mano, i fiori dall'altra, con le amiche che incontrava lì. Qualche giorno fa ci sono andata, sola come sempre. A sorprendermi di come i passi sulla ghiaia facciano sempre troppo rumore in un posto così intatto, come sotto una bolla. Di un un rumore sfacciato, che rimbomba troppo, che ti vine voglia di andar più leggera, non so, nei corridoi con gli archi e le volte, e sulle scale. Arrivavo, camminando quasi in punta di piedi, e due donne che chiacchieravano, ora come allora, si sono accorte di me. Chi è? Chiede una all'altra. Nessuno, risponde, Una Furesta. Io. Io sono una furesta. Io, che conosco questo paese palmo a palmo, che manco da molto ma che ci torno sempre così volentieri e lo amo, sì, lo amo come si ama il posto da dove vieni, dove tutti sanno chi sei e chi erano tuo padre e tua madre e i tuoi nonni, pure, perchè sembra così strano ma anche io ho una storia e un percorso e un passato, e ce l'ho qui. Vengo da qui, dove ho passato i miei anni più lucidi e disperati, dove ho conosciuto le cose più belle e le più tragiche, dove ho riso da morire e pianto come si piange poche volte nella vita, dove ho cantato, ballato, e giocato a bandiera scalza sulla piazza, dove mi sono innamorata tremila volte o giù di lì, come ci si innamora a quindici anni, io, ribelle e un pò fuori dagli schemi, io, che ho cantato nel coro della chiesa, che ho girato questo posto in motorino, in vespa, in bicicletta e a piedi, io che ho preso due schiaffi da mio padre una sera di maggio, proprio lì, accanto alla fontana, io che torno in questo posto come si torna a casa, io, per queste donne del camposanto, sono e resto, la furesta.

06 aprile, 2008

Fregata dalla regata.

Vento non tantissimo, mare quasi piatto per un pò. Undicesimi. Su undici. Un equipaggio di tutto rispetto, gli altri agguerriti, noi tranquillissimi, a sgranocchiare taralli e a prendere tutto il sole possibile, e poi, Pronti a Virare? Ah, sì, già che siamo in regata. I prodieri, la Princi ed io. Non proprio da Coppa America. il Capitano rilassato e divertito, tutto contento per quella sua velona sottile e frusciante di un bel turchese. Sette metri di velo color del cielo, chiedeva la fata Smemorina per il vestito di Cenerentola, e lì, diciamo che un bel vestitino drappeggiato per la Princi e per me ci verrebbe di sicuro. E ne avanzavamo ancora. Ma di gennaker si parla, signora cara, mica di tailleurini Chanel. Ultimi con grande onore, che di tattica di regata e di altre corbellerie il Capitano le sapeva sì, ma con due femmine a bordo, più attente al look che alla direzione del vento, ma si poteva fare davvero i Paul Cayard del Monferrato?

03 aprile, 2008

E via!


Non che una debba stare lì, a spiegare con tanti particolari perchè mai questa sia una giornata speciale. In realtà nessuno lo sa ancora, si deve prima uscire fuori, annusare l'aria con il naso all'insù, provare a distinguere. Il profumo, per esempio. Che è quello dei primi fiorellini del ciliegio o del tappeto di violette che si stende là, sotto ai pini? O ancora, saranno forse i bocciolini delle rose inglesi, mannò, è impossibile, sono ancora così piccini che quasi non si vedono, eppure hanno foglioline verdissime e già robuste, dopo il trattamento che amorevolmente ha risevato loro il mio Sposo, corteccia di pino, sissignori e una specie di intruglio contro i pidocchi. Il profumo c'è. E quindi? E' profumo di cose. Di cose di ogni giorno, di figlioli spediti a scuola, arruffati, belli come il sole quando il sole è appena spuntato là dietro, arruffati, come il gomitolo caduto nelle grinfie di un gattino dispettoso. Di baci scomposti e spiaccicati e di sfuggita, che hanno così sonno che non capiscono mica ancora tanto bene, sa? E' profumo di torta per la colazione, di semini e briciole messi sul ramo per la famiglia Pettirossi, di pensieri tranquilli, si và la mare, quello vicino, per questo week end. E poi, accidenti, oggi è profumo di progetti, di Knit Cafè, alle 3 al solito posto, che quest'oggi siamo tutte così gasate per questo evento, per questa cosa inventata che ci piace già, prima ancora che cominci. Profumo di cose belle, semplici eppure così lucide, quotidiane, normalissime, ma che basta così poco a rendere così speciali, la mimosa del mio vicino esplosa di un giallo soffice, un'aria frizzante e avvolgente e quel profumo, misterioso e affascinante, che ancora non si è capito bene da che parte arrivi, che cosa è di preciso, se fiori, mare o tutt'e due, ma che è bello sentire che c'è.

02 aprile, 2008

Ode alla camicia bianca.

Bella scoperta. Certo, non la scopro io questa mattina, ma la vera essenza di un simile capo di abbigliamento non la si esalta in inverno e neppure in estate piena. E' in queste stagioni di transizione, non troppo calde e non troppo gelide, che la camicia candida dà il meglio di sè. Non sacrificata sotto un maglioncino accollato, ma portata con disinvoltura senza niente, magari un golfino morbido coi bottoncini ma da tenere così, impertinente e sbottonato. Molto bon ton. La camicia bianca illumina e risolve. Profumatissima di appretto, impeccabile in una stiratura piuccheperfetta, vi fornirà un'immagine di voi medesime così lucida, dallo specchio, da farvi sentire magnifiche, nonostante l'umore grigiolino, la tosse o la nessunavoglia. Versatile, trasformista, può essere all'occorenza maliarda e innocente, vacanziera e professionale. Chicchissima con una gonnina nera al ginocchio e tacchi importanti o pronte per un traghetto o una passeggiata sul pontile, con sandali ultraflat e pantaloni Vichy. La candida camicia è un jolly da giocare, un terno secco sulla ruota di Napoli, una tombola. Unico accorgimento. I bottoni. Essi vanno abbottonati con cura nella parte centrale, lasciati sbottonati l'ultimo e i primi...vediamo, tre, quattro? A seconda di quanto maliarde si vuole essere, un balconcino che occhieggia con elegante innocenza farà con grande dignità la sua bella figura, sia esso rosso bordello, nero misterioso o lilla ammiccante. Perchè camicia candida sì, ma perdiana, le educande, signora mia carissima, hanno fatto il loro tempo.

01 aprile, 2008

Slow Fish.


Non sono così brava a fare scherzi, nè sorprese, mi faccio subito scoprire, mi viene da ridere, per un pò reggo e poi crollo, miserabilmente crollo, insomma, non mi riesce. Perciò nessuno scherzo per me, forse ne sarò vittima, chi lo sa. Nel frattempo, mi trastullo bellamente con le questioni quotidiane, i figli, per cominciare, tutti, di ogni ordine e grado, che il mio Sposo è in Riviera e non riederà che questa sera. In verità sono un pò scollegata, avrei bisogno di un reset, non so. Questa vicenda dell'ora legale fa sì che mi senta sempre un pò galleggiante, penso che sia un'ora e invece è un'altra, ed è sempre troppo presto o troppo tardi e alla fine non mi riesce di combinare un granchè, a pensarci bene. E poi mi dico che sono stordita, un pò appannata, come dire, eppure non ho mai sofferto di jet lag o robe del genere nemmeno dopo viaggi dall'altra parte del globo terracqueo. Sarà la primavera. Sarà che è così bello lasciarsi un pò cullare, ove si possa, lo faccio ora o lo faccio dopo? ma sì, che anche dopo va bene. Alla fine, le cose da fare, le questioni da gestire, le vicende da dipanare sono in realtà piuttosto numerose, ma che fa, le si mette tutte in fila e una per volta, alè, si troverà il modo di redimerle, aggiustarle e catalogarle come fatte. Buon aprile, mese della lentezza e della calma, del tranquillo svolgersi delle cose, della beata semplicità, dei primi assaggi di vacanze e week end al mare e pic nic sui prati, con la frittata e le uova sode e il termos con il caffè, e se si è un pò risciacquati, squinternati e sciaborditi, e un pò improvvisati e leggeri, un palloncino che vola, un pò così, trasognati, prendendo quello che viene, in fondo, ma dimmi un pò che male fa.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...