29 febbraio, 2008

Domanda.


Lo so. Banale. Ce li hanno proprosti in tutte le salse, dalle Alpi alle Piramidi, col figliolino sulle Presidenziali spalle e lei con occhialoni griffati e maglioncino. Ma, concedetemi, oggi e oggi soltanto, giorno bisesto, di fare una bieca, bassa, pettegolissima chiacchiera da venerdì sera, da portineria, ma che dico, da osteria, o meglio, da bar sciccoso del centro la mattina alle 11: Ma Lei, l'italiana, la top delle top, Carlà con l'accento, che si è ...si è... conquistata prima il padre e poi il figlio, Lei, che cantava con voce roca, Lei annovera tra i suoi amori Mick Jagger, e scusate se è pochissimo, Lei, bellissima, architettonicamente perfetta, come dice il mio Sposo, Lei, che abbiamo visto fasciata da abiti da delirio e anche fasciata proprio di un bel niente nei paginoni centrali delle riviste for men only, Lei, il buon gusto, l'eleganza e lo stile italiano e bla e bla e bla...
Possibile che se ne debba stare lì, al cospetto di non so quale capo di Stato, lei e il suo ruspante Presidente, lì, imbalsamata con una faccia da trota, vestita come una commessa di Prada Galleria, non un gioiellino, non una passata di Labello, non un'ombra di fard, nemmeno la messimpiega, sciatta fra le sciatte, con l'espressione da sala d'aspetto di ginecologo, Sa Com'è Devo Fare il Pap Test?

Bisesto de che?

Dicono porti sgarro. Dicono. Dicono Anno bisesto, anno funesto. Dicono. ma noi che ci fa. Sì è vero, c'è una nebbia gentile stamattina, o almeno pare da qui. Magari piovigginerà noiosamente a metà pomeriggio, e resta da sperare che il week end ci lasci modo di piatare le primule sui davanzali, orsù un pò di colore, domani sarà marzo e marzo fa rima con primavera. Bisesto o no, secondo il mio modestissimo parere, dato che oggi lo si vive ogni quattro anni soltanto, bene, vediamo di impiegarlo in un modo carino, magari facendo qualcosa che non abbiamo mai fatto e nei limiti della decenza, signora mia, non è che adesso mi và ad assaltare una banca. Si raccolgono idee. Personalmente ancora non ci ho pensato, ma data una rapida scorsa alle cose che ho da fare quest'oggi, direi che devo andare a comprare una pattumiera. Ma quali primule, me quale primavera, ma quali celestiali visioni di prati fioriti e sole: da domani, al villaggio, cambia la musica e c'è un viavai di bidoni, benne, cassonetti nuovi di zecca per la differenziata obbligatoria, che peraltro in molti quassù si fa da anni. Bisesto o no, qui si deve stare al passo coi tempi. Se qualcosa mi verrà in mente, che non ho mai fatto o che faccio di raro, giuro, la farò. Un giorno regalato non và sprecato. Fare una cosa mai fatta prima, a patto che sia molto, molto originale. Direi che con la pattumiera mi porto avanti. Al resto, penserò poi.

28 febbraio, 2008

Beata ingenuità.

Faccio pubblica ammenda.

Sono giorni che mi frulla in testa una canzone, io canto spesso, mi piace, mi concentra, mi tira sù, mi fa passare la malinconia, mi fa fare le cose senza pensarci, laddove debba fare qualcosa che non mi piace, basta che canticchi e voilà. A volte, improvviso con la Princi, anche canzoni di tutto rispetto, da Samuele Bersani all'Ave Verum di Mozart. E scusate se non mi trattengo. Ma quella che canto sguaiatamente in questi giorni, che ha così un bel ritmo, incalzante, travolgente e mette allegria, certo, non la so bene, ne so qualche parola, ma poi faccio na na na e vado avanti, mi dicevo, e parla di uno che fa surf, e baseball, e golf, anche, ma che bello, stamattina, mi ha fatto rimanere di stucco, così, lo spazzolino in bocca, un rivolo di dentifricio e gli occhi sbarrati, mi sono guardata allo specchio con la radio a mille. Ohi Ohi. Ho ascoltato bene il testo. Che vi vado testè a proporre.


Orbene. Può una donna, moglie e madre esemplare, generalmente considerata a posto, senza vizi, che non fuma, che non beve, che non si è mai fatta una canna in vita sua, con tre figli in tenera età, ai quali deve dare esempio di candore e moralità e rettitudine, può, dico, può andare in giro a cantare questa roba qui? Giuro, l'ho fatto senza volerlo.
Giuro, l'ho fatto in buona fede.
Giuro, non lo faccio più.
Sono già inginocchiata sui ceci.
Chiamate Baustelle. Ditegli che mi avrà sulla coscienza.
Sob.
P.s. Però, è così bella!

27 febbraio, 2008

Oh, sì. Ravelry!

Oh, sì, oggi me la tiro proprio. Dopo pochissimi giorni di attesa, ecco che finalmente il tanto sospirato invito è arrivato. Sono su Ravelry. Sì, ecco, in vero non è che ci sia proprio da tirarsela. Nel senso che sì, è un gran bel posto dove passarci le ore (e dico, le ore!) ma solo per chi ha questa passione smodata per gomitoli e affini. Ad ogni buon conto, felice son di esser stata chiamata to edit my profile su Ravelry, la più grande comunità di knitters al mondo. A cosa serve è prestissimo detto. Serve che, alla fine, se volessi sapere che tipo di coperta tricotta la sciura Naomi da Singapore, che ferri usa e che punto, ecco, lo saprei. e se poi volessi fare un copri bidoncino dell'umido all'uncinetto, ben sapendo che il mercato dei copri- bidoncino dell'umido è fiorente in Estonia, voilà, a portata di clic io saprei con esattezza come fare, dove e con cosa, e venderei il pattern ( lo schema, signora, lo sche-ma!) sottobanco a tutte le mie scelleratissime amiche, delle Perle e Senza, da Alta Cucina e non, da Pastiera e da Surgelato, che fisioterapiscono o logopediscono, che fanno Pilates o vendono cachemere, che maneggiano provette o tessuti, beh, respiro, potrei anche farlo. Però, inutile proprio che me la tiri tanto. Che donne ci sono su Ravelry? E che lavori, signora mia, che lavori! Tutto un intorcinamento di trecce e di trafori e di merletti e di scambi di colori e scialli e calze a 12 ferri, e insomma, i miei miserrimi e infimi lavoretti da seconda ora di applicazioni tecniche, fan veramente pietà. I miei maglioncini insulsi, sempre un pò troppo larghi e con le maniche sempre troppo corte, le mie cuffie sbilenche, le mie anonime sciarpe...povera, piccola fiammiferaia dello knit, povera cenerentola dell'uncinetto, povera, povera, povera. Orsù. Non stiamo lì tanto a frignare, chè su Ravelry ci siamo e possiamo migliorarci, un altro knit cafè tra poco, qualche lezione ben presa da chi ne sa più di me, qualche ripetizione da Cristiana, e via, ci sentiremo di certo all'altezza di cotanta situazione. Ma sì che ce la facciamo. Yes, we can. Ma dove l'ho già sentita?

26 febbraio, 2008

Il Mucchio Selvaggio.

Ciclicamente, mi acchiappa. Doverosa, obbligatoria, assolutamente non più rimandabile la sistemazione della cabina armadio dei due figlioli, che stanca son di chiudere gli occhi e far finta di niente, che tanto, lo sappiamo, questa stanza all'ultimo piano è loro e loro soltanto, che si sono scelti tutto, i colori, le cose, la disposizione, perfino le lenzuola, e io ben mi guardo dall'entrarci. Ma quando è troppo, è troppo. Che uomini diventeranno mai se non tengono in ordine la loro stanzuccia, se appallottolano con rara maestria un maglione che ridotto così entrerebbe senza il minimo sforzo in una tazza da caffelatte, in che stato di confusione totale si abituano a vivere, che poi lo dice anche Morelli, la confusione di fuori dà origine alla confusione di dentro, insomma, beh, forse mi sono fatta un pò prendere la mano, che stufa son, e due, di tuonare Mettete in Ordine! che insieme a Questa Casa Non è Un Albergo faceva parte dell'elenco di frasi che giuravo di non dire mai. Ieri, una società per azioni formata da me e dal mio piccolo Bistrattato Liceale, che in questi giorni fra interventi e vaccini di routine, creatura, proprio è stufo di càmici e medici, insomma io e lui ci abbiamo provato. Non lui, più io. Anzi, io sola. Lui, guardava, limitandosi a interventi sporadici, davanti alla tonnellata di compiti che ha per rimettersi in pari coi compagni, dopo tante assenze. Il Maturando, assente giustificato per il Regio Compleanno della Biondina. E' stata dura. Il mucchio selvaggio, debitamente privato di vestiti smessi, di magliette rovinate da incauti stiraggi, di pantaloni diventati corti, o semplicemente che non piacciono più, ha una dimensione quasi umana. Non è cosa da poco. Chi ha figli sa che genere di lavoro sdilinquito, noioso e spesso lunghissimo sia questo qui. Ma io mi salvo coi pigiami. Non li butto. Non li regalo. Li conservo. Non so perchè. Mi inteneriscono, mi ricordano, mi piace tenerli lì, orsi e pinguini, mazze da baseball e missili, guardarli, scoloriti un pò e macchiati di antibiotico e di mercurocromo. Mi piace pensare alle notti che hanno passato coi miei bambini quando erano bambini, mi piace ricordare le volte che hanno guardato i cartoni le mattine senza asilo, le febbri cui hanno assistito, le varicelli e i morbilli e i baci della buonanotte e le favole. Mi piacciono i pigiami dei miei figli, che male c'è, mi piace pensare a loro come erano quando stavano qui dentro, dentro e li guardo adesso, così grandi e così dannatamente belli e riccioluti e sorridenti e casinari e sempre più simili fra loro due maschiacci tenerissimi con gli occhi di Nutella e mi sembra davvero che sia passato un secolo o un secondo e allora, di sgridarli per il disordine e il mucchio selvaggio, ma ditemi un pò chi ne ha ancora voglia.

24 febbraio, 2008

Che storia è.

Bizzarra, bislacca, in fondo, neanche tanto interessante. E' una storia come ce ne sono a tonnellate, che si intreccia con le storie degli altri, con le vite degli altri, con tutte le questioni degli altri. E' una storia che non si legge, che si inventa, qualche volta, perchè, è proprio così sbagliato cercare di colorare una cosa banale? perchè ci si può sentire a volte bene a volte male, e allora, che male c'è a raccontarlo, se uno ne ha voglia, e ne ha tempo e così. Così, la storia comincia e continua, è la storia di tutti, un pò la mia, sono i giorni che si vivono, uno in fila all'altro, sulle stelle o negli abissi, in Paradiso o negli inferi più infuocati. Ci si sente meglio a metterla giù, a rivederla scritte qui, rileggerla ogni tanto, mai correggerla, mai fare la brutta, che sfogo sarebbe se no. La storia non si fa con il c'era una volta, basta un niente e i pensieri sono già fuori, ben ordinati o confusi, non è importante, basta avere il coraggio di dipanarli, di districarli, come si fa coi nodi. Così, eccoli. Come la storia di oggi, c'era una volta, ma no, abbiamo detto, non serve. E allora, non si comincia, ma c'era lo stesso una famiglia normale, in una casa in collina, i tortellini e la torta di zucchine, il pane caldo e le partite, che noia, le regioni da ripassare, ginocchia sbucciate da curare, medicazioni a interventi da niente, cose e cose, e baci, e copertine sul divano, una nebbia della forca, là fuori, e noi qui, a coccolarci con gli sguardi, a ricamare un regalino per la Biondina che domani compie gli anni, che colpo per il mio squattrinato Maturando. Domenica. A consolare e progettare. La storia và avanti. Con la pizza della domenica sera, con le chiacchiere e il sentirsi come al sicuro, al riparo, ma al riparo da che cosa. La storia che racconto non finisce, nè adesso nè domani. Nessun c'era una volta, e sia. Ma felici e contenti, mi sa che ci sta bene.

22 febbraio, 2008

La pace.


Del cuore, suppongo. E dell'anima, anche. Pace e basta. Pace che inghiotte, che circonda e che annega, un pochino, pace e silenzio, ma anche no, se vogliamo, la pace non si misura dal rumore e dalla musica, la pace si sente, anche solo girando la chiave nella porta, sbirciando dalla finestra. La pace dei giorni, se vuoi, la pace che è dentro, di sotto e tutt'intorno, che ti fa crollare di peso su una poltrona e dire, ok, qual'è la prossima cosa da fare, ma intanto c'è pace, si sente di già, c'è un'ovatta invisibile, una specie di day after, di dopo la tempesta, che è quiete, lo sanno tutti, ma di quella quiete accesa che ci piace tanto, instancabile, che non si ferma, la quiete in una vita così complicata eppure così semplice, pensieri fermati, con l'illusione di colorarli un pochino. La pace, una musica di sottofondo, la caffettiera che gorgoglia e sibila e un pò sbuffa, i rumori di casa, che si conoscono a memoria, non troppo forte ma che si sente appena, un profumo di niente e di tranquillità, rosmarino e vaniglia, pane e borotalco, che non si spiega ma che c'è, un porto sicuro dopo una maestralata. E di scossoni e tempeste, buriane e burrasche, di onde e di raffiche, questa barca, per favore, basta così. Almeno per un pò.

21 febbraio, 2008

Brazil!


Alla fine è stata davvero una bellissima serata. No che non erano gli strascichi dei festeggiamenti dei centomila clic, certo che no, non sono mica così autocelebrativa e non me la tiro mica così tanto, in fondo! Solo, avevamo un compleanno da festeggiare, in questa famiglia così rutilante e multietnica e multitasking e multicolore. E non già un compleanno qualsiasi, ma quello del Figliolo del Brasile, proprio lui, che staziona in questa casa da un paio di mesi e che, forse, chissà, riederà alla casa materna tra qualche giorno. Spinosissima questione. Ma ieri sera di spinoso c'erano soltanto gli sguardi della figliolanza tutta e del mio Sposo esso pure, verso quella divina creatura, un insieme di tette e culo, e mi si perdoni l'accento francese, che ballava a pochi centimetri dal nostro tavolo. Vestita di nulla, responsabile della congiuntivite da sforzo di tutti i miei figli maschi, e anche della Princi Assonnatissima, abbagliata da tutti quei lustrini e quelle piume e quei tacchi 35 o giù di lì, e quella samba, e quell'uva sulla testa. Bella sera, menù do Brazil, farina di manioca, e quella specie di acqua tonica coi lime dentro, che buoooooooona!, che mi ha fatto ridereridereridere per tutta la sera, io che l'alcool proprio non lo reggo, cahipirina, signora, le devo proprio spiegare tutto, vabbè che è roba straniera, ma è meglio che stia al passo coi tempi, non crede? Bellobello. Un pò ciucchi tutti, di quelle ciuccherie che non sono vere, che insomma, sei ancora bello lucido ma sei contento di essere lì, con tuttitutti, il Giovane Holden arrivato in tram dalla casa di studio, il Maturando felice e ridanciano pur senza la Biondina, il mio Sposo che se li guardava, uno per uno, tutti qui a festeggiare questo strano, storneggiato fratello che viene da lontano e che è fratello uguale. Stamattina, alcune commissioni: il collirio per la congiuntivite, Citrosodina per il churrasco, e una ricerca sulle Pagine Gialle. L-L-L-ezioni di samba per la scrivente. Ma mi sa che il culo può andare, ma a tette, signora cara, sono messa non benissimo. E nemmeno in francese!

19 febbraio, 2008

Centomila.

Ma sì, facciamo festa. Speditemi dei fiori, regali a tonnellate, bigliettini e cotillons. mail, sms, mms, pqrs, SPQR, PPTT, BetaHCg (!) insomma, di tutto, lettere profumate su pergamena, piccioni viaggiatori, segnali di fumo ovunque voi siate. Chi porta da bere? Non occorre l'invito, nemmeno lo smocking o l'abito lungo e il guanto all'avambraccio. diademi e tacco 11, è una festa VengoCosìComeMiTrovo, faccio una torta salata, io il pane alle noci, io il tiramisù. Una festa a sorpresa, la sorpresa non me la faccio da sola, sono mica scema, me l'avete fatta voi. Centomila. CENTOMILA. Cen-to-mi-la!!!! Come, che cosa. Centomila clic, signora mia bella che torna dal mercato, centomila volte siete venuti in casa mia, in questo salotto, in questo bordello, in questa chiesetta, in questo divano, su questo scoglio, su questa spiaggia, su questo sgabello, su questa sedia girevole, su questa giostra, su questo inginocchiatoio, sotto questa doccia, al mio tavolo, in camera dei miei figlioli, nel mio studiolo, in lavanderia, a frugare nel mio Cassetto del Tutto, e nella mia borsa, e nelle mie tasche, nel disordine del mio armadio, fra i miei libri, i miei gomitoli, le mie ricette senza senso, i miei fili, le mie cose, i miei cestini con le collane, fra i miei briccialetti che tintinnano. Centomila. Le volte che mi avete sentito ridere e piagnucolare, e disperarmi e bearmi di cose semplici, le volte che ho comprato cazzate e frivolezze, le volte che mi sono persa, le volte che mi sono ritrovata, sentita sola, rinata, disubbidita, tradita, fraintesa, adorata, coccolata, maltrattata, inosservata, amata, invidiata, ignorata. Ma oggi, solo festeggiata. Coraggio, la banda da questa parte, voi con la grancassa di qua, il tappeto più in centro, i fiori con più garbo, voglio più tulipani, no che non è il mio compleanno, è molto di più. Ringraziare non basta, non sono brava nei ringraziamenti ufficiali, e nei dedicoquestavittoriaa, centomila, centomila, ai bambini centomila sembra un numero gigantesco, ma adesso anche a me che tanto bambina non sono, ma mi ripeto soltanto centomila, centomila, centomila, e quanti ce ne saranno ancora, se pubblicherò o non pubblicherò, ma cosa importa, scrivo questo libro ogni giorno e ogni giorno quattrocento di voi lo comprano e lo leggono e lo rileggono, e se lo stampano, pure, perciò, scusate tanto, ma devo andare a festeggiare, farmi una treccia, magari, e un trucco di quelli seri, cambiarmi d'abito, che la felpa coi sette nani non va tanto bene per una festa come si deve, anche se è del tipo VengoCosìComeMiTrovo, e poi gli invitati che cosa direbbero, che cosa direte voi tutti, coi vostri clic ben avvolti sotto il braccio, tutti i regali che mi farete e che io, arrossendo, scarterò e mi luccicheranno un pò gli occhi, e quanto di stucco ci rimarrò, a vedere la torta a centomila piani, con centomila fragole, e quanta fatica che farò a soffiare e soffiare su centomila candeline.



17 febbraio, 2008

Cerca.


E cerca bene. Senza un metodo preciso, come puoi pretendere di averlo tu, disordinata ad honorem, un metodo per cercare nei cassetti, nei cestini, nei ripiani, dietro ai libri. Cerca bene nelle cose più tue, benissimo dentro alle scatole delle collane, e nelle borse che non usi, che bello ritrovare una borsa che non usi da un pò, dentro ci sono gli scontrini spiegazzati, una caramella senza carta, una serie di post it che non appiccicano più, un burrocacao mezzo sciolto, centesimi e briciole, una forcina di osso e una biro che non scrive. Cerca e cerca, dentro ai pensieri, dentro alle idee, ai progetti, alle cose che fai, cerca dentro ai libri di ricette, sfoglia il libro che hai finito oggi e quello che hai comprato appena ieri e che non vedi l'ora di iniziare, ma che aspetti, il silenzio, la calma nessuno che ti chiama e che ti chiede, c'è qualcosa di sacro e religioso un pò, e di così intimo e privato nei primi cinque minuti di un libro, è una specie di fidanzato, ti colpisce oppure no, ti folgora oppure ti delude, e tutto in così poco tempo, le prime cinquanta righe, più o meno. Cerca, bellezza, cerca benissimo nelle cose che ti hanno fatto diventare quello che sei, negli schiaffi e nelle carezze, nei baci e nelle offese, che solo con quelli potevi arrivare fino a qui, come molti, come tutti, siamo tutte le cose che ci hanno preceduto, tutte le cose che abbiamo vissuto che ci hanno fatto essere così, un pò folli, in fondo, un pò incoscienti, disillusi e sognatori e suonatori e incantatori di serpenti e venditori di liquirizia e fioraie dell'angolo, mercanti di stoffe e fateturchine. Cerca e troverai. La strada per il faro, una favola nuova, una canzone da imparare, un nuovo gioco, magari. Si trova, la forza di continuare, un equilibrio traballante, uno sgabello che zoppica, ma lo vedi? basta una figurina piegata in quattro e voilà. Si trova sempre, un nuovo sorriso, per cadere sempre in piedi, sette vite come i gatti, per farcela, per sfangarla, sempre e comunque. Si trova, un nuovo fiore in giardino, un modo qualunque per dirsi che sì, in fondo in fondo non c'è male, e che si piagnucola a volte e domani magari sarà già diverso ma che caldo stasera in questa casa in collina e ho trovato, davvero, frugando per bene, anche quando pensavo di non trovarlo più, un bottone argentato, una perlina, un sogno a metà, un bicchiere di cristallo, una corda per saltare, come ho fatto a non vederla eppure era lì, tra le cose più mie, tra i calci e gli abbracci, la fuliggine e i lustrini, i giorni perfetti e quelli da paura, tra gli incubi e i sogni che fino a qui mi hanno fatto diventare le cose che sono.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...