30 ottobre, 2006

Il mercato.


E' giorno di mercato, il lunedì. Non ci andavo da tanto, avevo voglia di un giro nel sole prezioso di questi giorni. E voglia di pensare. Penso meglio se cammino. Questa bancarella mi piaceva, nella sua semplicità barocca, nella sua approssimativa precisione. Carina. Non tanto diversa da me. Io sembro molto. Distratta. Ma non mi sfugge niente o quasi, non un gesto, un'occhiata, un trasalimento, un velo di tristezza, l'ombra di una cattiveria, due occhi che brillano. Superficiale. Ma ho nel cuore cose pesanti come sassi, difficili e che segnano, per sempre, forse. Sfacciata. Ma a volte mi sforzo di esserlo, per poi trovarmi spossata e un pò stupida, mi intimidisco davanti alle decisioni, bianco o nero? ma non si può decidere domani, che non mi sono preparata, che non ho studiato, per favore, adesso no. Sembro. Sembro, che niente mi smuova, che le cose mi passino sopra come l'acqua sulle oche, ma sarà vero, l'acqua sulle oche, intendo. Sembro sicura, sembro un pò vuota, sembro che un'alzata di spalle e chi se ne frega. E invece, mi intenerisco, ci soffro, e mi taglierei a pezzettini per chi amo e anche per chi non amo, se serve, e non serve quasi mai, e mi dico una dozzina di volte che la colpa è la mia, e di chi se no, e non mi sento adeguata e mi dicono che parlo troppo poco di me qui, ma non lo faccio per gli altri, lo faccio per me, e agli altri, di me, quasi niente importa, lo so. Quasi. Ma quasi nessuno sa. Quasi nessuno sa le cose di me che davvero contano, quasi nessuno che sappia come sono sul serio, se ho paura e di cosa, cosa mi fa immensamente felice e cosa non sopporto, quasi nessuno che avrebbe scommesso, ma dai, che avrei fotografato la bancarella delle noci. Perchè è barocca, semplice e piena zeppa di cose. Un pò come me.

28 ottobre, 2006

Grazie.


A Parigi, a Daniela, a Calme et Cacao, grazie. Infinite. Come le Fragole.

In giro.


Raramente vado in centro il sabato pomeriggio, non amo la confusione. Oggi però sono stata invitata, nell'ambito di alcuni eventi riguardanti il mese della prevenzione, a vedere la presentazione del tanto chiacchierato Kitchen Aid, di un bel colore rosa pastello. Complice un teporino quasi primaverile, la presentazione si è svolta in un suggestivo vicoletto, apparecchiato a festa e tirato a lucido per l'occasione. Bello.


Non è propriamente scoccata la scintilla, nel senso che l'oggettino ha il suo perchè, è carino e funzionale, e mi servirebbe pure, non ultimo non starebbe nemmeno male sul ripiano della mia cucina (e lì rimanere, non è quel genere di cose che si usa e si ripone, è pesantuccio, il ragazzo, e vuole un luogo tutto per sè). Ma insomma, non mi ha convinto. Vedremo. In compenso, adocchiati piatti...


....posate....


...e una quantità invereconda di oggetti di desiderio.

Felice di esserci stata, felice del pomeriggio inusuale, felice della passeggiata, seppur brevissima, con la mia Amica. Rallegramenti a me medesima.

Il lusso.


Non è Gucci e non è Bulgari. Anche, intendo, mai disdegnare. Ma quello di stamattina è un regalo vero. Ci siamo regalati un giorno di ponte, privatissimo, solo per noi. Nemmeno il liceale è andato a scuola, complice un influenza vera per metà e un infortunio verissimo giocando a calcio. Servono caldo e coccole. Per tutti. Dormo con le persiane aperte da sempre, inverno ed estate. Raramente guardo la sveglia per sapere che ora è. Mi regolo con la luce o il buio, come le contadine. Un pò la sono, in fondo. Mia nonna mi raccontava spesso delle risaie, devo aver preso da lei. Stamattina ho considerato che, alle 8 scarse, potevo già aver assaporato qualche privilegio. Dormire accanto all' uomo che amo, che non è tanto una cosa da nulla, per cominciare. E il profumo di pulito della federa, il calore morbido della coperta, il gatto che faceva le fusa. Alzarsi piano, aprire appena appena le porte dei ragazzi, della picci, guardarli dormire e provare una soddisfazione sottile nel non doverli svegliare, stavolta, ma richiudere, shhhhhh, che dormano ancora. E fuori, una nebbiolina di minuscoli brillanti, lattiginosi e splendidi, un paesaggio ad acquerello che fa sentire bene. Un fine settimana intatto e ancora da scrivere, qualcosa da cucinare, qualche amico da vedere. Non Gucci, non Bulgari. Molto di più.

27 ottobre, 2006

Business is business.


Non sono nuova ad esperimenti del genere. Mi piacciono quelli che, qualche anno fa si studiavano nell'ora di applicazioni tecniche, quelli che sono noti, mi fa orrore dirlo, come lavori femminili. Ricamo in maniera magistrale, lo sanno tutti e oggi mi va di stimarmi, si può fare, purchè a cadenza semestrale, non di più. Mi diletto inoltre con maglia e uncinetto, mentre sono una bestia col decoupage. Fine della presentazione. Il tempo non è moltissimo, non è che passi i miei pomeriggi a fare zapping o a soffiarmi lo smalto appena steso. Però, ogni tanto mi acchiappa. I risultati sono, in qualche caso soddisfacenti. in altri invece assumono dimensioni di disastro senza precedenti. Ma tant'è. In questi giorni, mi è punta vaghezza di confezionare per l'infanta un poncho, indumento ritrovato, riesumato dagli armadi delle ex ragazze iscritte al collettivo, e catapultato su tutte le passerelle e riviste di moda. Non possedendo uno schema preciso mi sono affidata ai consigli di un'amica, non molto più esperta di me, ma già autrice di innumerevoli capi similari. Devi mettere 101 punti e diminuire qui, poi vai sù ad occhio e poi cuci qui e qui, vedi? il posto per le braccia e quello per la testa, vedi? ti faccio un disegno, è semplicissimo. Orbene. Semplicissimo è un superlativo assoluto che non si confà alla missione citata. Mi sono impegnata,ho fatto tutto per bene, ho messo i punti giusti, fatto i due pezzi, combaciano, cucio, voilà, Gulp. Il poncho è finito. Bello morbido, di un color glicine da perderci la testa. ma è misura anni 2. Facciamo 3, se la bimbetta è inappetente. Peccato che l'infanta, tra 4 mesi, di anni ne compia 10. Da ore mi lambicco il cervello chiedendomi dove ho sbagliato. Forse i ferri troppo piccoli, forse la lana troppo sottile e chi lo sa. E pensare che davanti alla scuola avevo molto pubblicizzato l'iniziativa, raccogliendo centinaia di prenotazioni e immaginando già un fiorente mercato di poncho fatti ai ferri, che son tanto di moda, e se va in centro costano una cifra, sa? Tutto ciò cade miseramente. Dovrò perfezionare il settore Progettazione. Addio sogni di gloria? Neanche per idea. Mi specializzerò lo stesso e i miei poncho andranno a ruba. Dovrò solo cambiare il target. Cos'è quella faccia? Mai vista una Barbie col poncho?

26 ottobre, 2006

Cavoli, a merenda!


Non capita spesso. Essere da sole in casa è un evento che succede raramente, facciamo una volta ogni sei mesi. Qualche figlio a scuola, qualcun altro in giro, a godersi questo tepore regalato da un autunno di puro lusso. Niente musica. E' piacevole ed inusuale in una casa diciamo molto popolata, fermarsi per un pò e sentire per esempio, le lancette dell'orologio, o il ronzio del frigorifero. E' bello e dà pace. L'ora della merenda in una cucina silenziosa, con le colline di fuori rossastre e gialline, una nebbiolina discreta, un odore di bosco che non si vede, quello no, ma tu immagini e lo sai, c'è di sicuro. Ci vorrebbe un caffè. Io non amo il caffè della caffettiera, trovo che abbia un gusto di pneumatico e in più non mi fa dormire. Compro quelli aromatizzati, dai gusti improbi, a mio parere buonissimi. Diventano un caffelatte. Così, ci si avvicina con passo vellutato al microoonde, si scalda un mug di latte e ci si scioglie un cucchiaino scarso di caffè solubile all'arancia. Ci vorrebbe un'amica. Detto, fatto. Si compone un numero da un telefono inusuale anch'esso, quello con la rotella e coi numeri, che le amiche di mia figlia ancora dicono Che Strano, loro, della SIP, ma che ne sanno. Ci si siede per terra, il telefono in una mano, la tazza nell'altra e si chiacchiera, tranquille, prima dell'arrivo degli indiani. Momenti come questo dovrebbe passarli la mutua. Si beva in letizia questo caffelatte insieme a questa beata pace, che da lontano, mi sa, odo i cavalli. Forse Sioux o Pellerossa. Stanchi, scarmigliati e bellissimi. Ma sempre indiani sono.

Frivolissima.


Sù, sù, poche storie. I blog non si nutrono di piagnisteo, lo sapeva? Si è fatta mica contagiare dal reality virus, Dio me ne scampi e gamberi, signora mia, che io quel Raffaello Balzo lo vedo così sciupato, ma così sciupato che magari uno zabaglione glielo farei pure. Ma secondo lei, ma quanti soldi devono prendersi questi qui, per accettare di trasformarsi da gran bel pezzo di figliolo in una versione, tisica e malconcia dell'ombra di se stessi? E poi, via, quella bestemmiaccia in diretta, ma non si fa così, ma dove andremo a finire, signora cara, ora vado che mi si attacca il sugo e devo tirare la sfoglia. Orbene, si parla di frivolo. Borse, nella fattispecie. Folgorata da quest'immagine non già sulla via di Damasco ma diciamo in Via Sant'Andrea, o Montenapoleone, via, non andiamo tanto per il sottile. Fendi e Moncler hanno dato vita a questa creaturina. materiale: piumino d'oca. Quel piumino d'oca. Celebrato negli anni 80. Che con Timberland, Burlinghton e Nay Oleari ha dato vita all'ormai giurassico fenomeno dei paninari. Un mito. Questa borsa è un mix azzeccato. Chi aveva 20 anni nell'83, era forse un pò grandina per fare la paninara davanti alle vetrine di Burghy. E, alla data, ha abbastanza buon gusto da poter distinguere in tutta scioltezza una Spy da una Kelly, una MammaZucca da una Bagonghi. Qui c'è la Sorbona, bellezza. In fin dei conti questa borsa è bellissima. A vederla viene da stropicciarla e, manco a dirlo, da correre a comprarla. Disponibile da novembre, non si scapicolli, signora, che con questo tempo ballerino le vien la cervicale. E sia un pò più frivola, d'ora in avanti, a nessuno al mondo interessano le sue melense recriminazioni parentali. Se proprio deve, le scriva su un foglietto e le tenga lì. E sul blog, quello che leggono in molti e che le dicono che tutte le mattine è un'abitudine irrinunciabile, scriva dell'altro. Ma, detto fra noi, sto Raffaello Balzo, lei sa chi è? Lui no, ma le sorelle Fendi le cito a memoria. Una per una.

Tutto bene?

La domanda che viene fatta più di frequente, in un luogo qualsiasi, ad una persona qualsiasi è Tutto Bene? Alla qual domanda si risponde, in automatico, Sì e Tu?. Già il solo fatto di rispondere ad una domanda con un'altra domanda implica che non si ha molto da dire o che forse se ne ha troppo. Verrebbe da fare un elenco di tutte quelle cose che in una giornata vanno storte, benino, o non vanno affatto. Personalmente la scrivente sta bene. E' in buona salute, è felice di questo clima che c'è, felice di aver cantato in macchina questa mattina con la figliola più piccola una canzone di 25 anni fa (già, ma come fa l'Infanta a conoscere Vamos a La Playa?). Insomma, bene. Si rattrista però in pochissimi istanti quando si accorge di non contare un fico secco. Di non essere presa in considerazione. Di essere sempre quella che sta bene, troppo bene, che non ha bisogno di nulla, che tanto ho le spalle grosse e ben sopporto, anni di nuoto servono a questo, che cosa credi, mica solo a tornire le cosce e farti un sedere da assicurare ai Lloyds. Ebbene, criptica ed ermetica, come poche volte riesco ad essere, stamattina mi sono sentita triste e un pò abbandonata. Sola, ecco. Le cose mi scivoleranno addosso come ho imparato a fare da qualche anno in qua, anche se, ogni tanto, avrei proprio bisogno che mia madre mi chiedesse davvero come sto e se mi serve qualcosa, si è sempre figlie anche quando si è madri a nostra volta e ogni tanto si hanno cose da raccontare e segreti da sussurrare e chiacchiere da fare e confessioni e consigli da chiedere e pettegolezzi da fare a bassa voce, e risate, anche. Mi piacerebbe. Ma ho imparato per bene, ho centinaia di impermeabili invisibili, quelli che si mettono sul cuore e fanno in modo che non ti arrabbi e non ti rattristi, non più di tanto, almeno. E nonostante tutto riesco ancora, con intonata eleganza, a cantare in macchina alle 8 del mattino. Non è poco.

25 ottobre, 2006

In equilibrio.

Facendo bene attenzione a non scivolare. mantenere una specie di controllo, un'energia per non farsi girare la testa, per resistere alla tentazione fortissima di stare lì, un pò nascosta, a fare solo cose che non servono a niente, ghirigori distratti su un foglio di carta, il mento sul pugno, alzando la testa di quando in quando e solo per vedere che ora è, non già perchè interessi, ma per cambiare posizione. Si potrebbe stare così per ore, inseguendo dei pensieri disordinati e senza nè forma nè colore, senza inizio nè fine, cosa farò per cena, chissà dove ho messo quella maglia, devo comprare la sabbia del gatto. Non sono bei momenti. Ci vorrebbe un tagliando per rimettere tutto a posto, bielle e pistoni e ingranaggi di un cervello, qualche volta, ne hanno bisogno. Il tempo non aiuta, ma non ci si illuda troppo, sarebbe lo stesso anche col sole a picco e quel vento profumato che adoriamo. Ma si deve fare. Perciò ci si sforza un pochino, che un pochino è un eufemismo, e ci si tira sù, si fanno le cose di sempre senza voglia e senza poesia, si sorride a fatica e ci si domanda per quanto durerà. Di solito non molto. Basterà poco per guarire. Non l'aspirina, giacchè siete allergiche, non la citrosodina. Qualcosa succederà. E adesso, forza, andare si deve, che di ghirigori su quel foglio, non ce ne stanno più.

24 ottobre, 2006

Il frullatore.



Non è mistero. Vorrei comprarmi un frullatore nuovo. O un robot da cucina o un impastatore o uno modello Alì Babà che faccia tutte queste cose insieme e che all’occorrenza dia anche il bianco alle pareti e stiri i fazzoletti. Lo desidero. Ne ho bisogno. E già sto facendo qualche giro di ricognizione e raccolta informazioni presso le mie amiche, più addentre, ancora per poco, bellezze, all’affascinante universo della cucina home made. Quello che non volevo era, nel frullatore, di finirci io. E’ quanto mi è successo questa mattina. Capita che uno si sia svegliato in una qualunque mattina a scelta, si sia fatto una bella doccia rigenerante e preparatoria, e lì, sotto il getto trepidino, avesse ripassato mentalmente tutte le cose, non poche, signora mia, non poche, da portare a termine non già nell’intera giornata ma nell’ancor più breve lasso di tempo che copre la sola mattinata. In linea di massima non erano le solite 15 da compiere entro la una, diciamo soltanto sei. Peccato che, alle ore 8 e 40 erano già diventate quarantacinque. Nessuna preventivata, nessuna preparata. Bel colpo. Sicuramente c’è di peggio, la miniera, per esempio, o le piantagioni di cotone. Però, arrivate le 13 uno si chiede se e come arriverà all’ora di cena. Ci si consolerà. Del fatto che l’attività rende scattanti e pimpanti, tonifica chiappe e cervello, non permette ai neuroni di addormentarsi sbadigliando annoiati. E poi, comunque, la doccia di stamattina a qualcosa è servita. Saremo pure state frullate dagli eventi non previsti, avremo fatto la spesa a razzo che è finito il detersivo della lavastoviglie e non se ne era accorto nessuno, saremo anche andate a sentire dai professori del liceo che il tuo figliolo, miracolo, sembra aver messo la testa a posto, e tu non hai avuto cuore di chiedere se per caso si stessero confondendo, avremo gestito 3 o 4 grane noiosissime, ma avremo fatto tutto ciò e un centinaio di altre corbellerie, avvolte in un aurea di frutti di bosco che ci ha reso invitanti e appetitose come un cesto di more di gelso. Che, se ci annusiamo il braccio, un po’ si sente ancora. Cose da non credere.

22 ottobre, 2006

Lo sbrego.


Molte le disavventure che possono accadere a un motorino. Per cominciare, si può graffiare. Succede, non si son prese bene le misure, ed ecco fatto, un bello sbrego sul parafango. Il discorso si complica quando dal motorino si cade, e lo sbrego magari ce l'hai sul gomito o sulla gamba, che la fai lunga e tragica, e mi fai gli occhi da Bambi, che grande come sei hai ancora bisogno di sentirti dire che non ti verrà il tetano perchè sei vaccinato fino al 2015, che è un graffio da niente e che l'acqua ossigenata non brucia. Lo so come sei. La terza opzione, invece, è la più grave. Lo sbrego c'è, eccome, ma non si vede. Ed è quando il motorino, dannazione, te lo rubano. E' successo ieri sera. Hai svegliato tuo padre e me quando sei tornato dalla festa, era lì e non c'è più, l'avevo chiuso, e c'era anche il casco dentro alla sella. Smarrito, spaventato, deluso, ferito. Quello sbrego, lo capisco. Sono quelli fatti proprio lì, in un punto esatto, fra l'anima e il cuore, che si nutrono di rabbia e di delusione cocente, e non ci credi e ti chiedi ma perchè, non era nuovissimo ma tu ci tenevi così tanto, il passaporto per essere autonomo, per quanto si possa esserlo a sedici anni. Se sapessi chi è stato, Pietro, lo picchierei, giuro. Due schiaffi, così, diritto e rovecio, quelli col sonoro, a mano piena, sciaf! Non sono il tipo di madre che vi vuole protetti e transennati, so per certo che le cose della vita, le più sgradevoli, fanno crescere migliori. Ma prego che ti succedano solo cose che io, madre, riesca a spiegarti, a darti una ragione, un senso. E questo, spiegarti non so. Quel che vorrei è che tu non ti lasciassi prendere e che tutto questo ti passasse sopra e di lato e che ti lasciasse così, felice e intatto come sei ora, bello e dannato, romantico e disincantato, musone e irresistibile, così come sei. Il mondo, anima mia, non è propriamente quello che ho apparecchiato e che vorrei per te. Ti deluderà, ti tradirà, ti esalterà, certo, ma mille altre volte ti stupirà per la sua bellezza, la sua stranezza, la sua cattiveria, la sua incredibile malvagità. Ti farà innamorare e ti ferirà. Ma tu, tu non fermarti. Non perderti, mai, cùciti le tasche per non smarrire i tuoi sogni lungo la strada, tienili così, lucidi e perfetti, anche quando tutto il mondo cercherà di strapparteli di mano. Fa di ogni delusione, di ogni dolore, piccolo o grande che sia, di ogni sbrego come quello di oggi, una lezione, una biglia colorata, un modo un pò brutale per diventare un pò più grande, ogni giorno un pò. E quando questo, fra mille anni, potrà esserti diventato insopportabile, tu torna, figlio, torna da me. Perchè non si è mai troppo grandi, troppo forti e troppo cresciuti per non volersi sentir dire, ancora una volta, che è uno sbrego da nulla, che passa e che è soltanto acqua ossigenata. E che non brucia.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...