05 ottobre, 2006

Vitamine.


Fanno bene. Come il Cebion per il raffreddore, come la Citrosodina per la nausea. Illuminano, una faccia un pò disgustata, stamattina, un pò di ansia e un pò di agitazione, consolano per l'abbronzatura che và via per virare a un più triste color sogliola, tipico di questa stagione, fenomeno irreversibile per chi recalcitra a sottoporsi a lampade abbronzanti. Roba passata. Và il pallido, il lunare. Un giro di perle, meglio se tre o quattro, fa subito la sua bella figura. Rilassa. Scalda. Per non parlare del rumore, quel metallico discreto, quando si sgranano ad una ad una, come il più pagano dei rosari, sguardo perso nel vuoto, con una decisione da prendere e/o un'idea da farsi venire. Il rumore delle perle, è stato provato da recentissimi studi nell'università di casa mia, ha benefici poteri anche sull'umore, sullo stato delle cose, sui sospiri da fare per cancellare eventi sgraditi e alzare le spalle, senza girarsi, senza rimescolarsi troppo in pensieri che ci appiccicano e ci rendono fermi e pesanti. Le perle consolano. E il loro rumore celestiale tiene lontano da voi sortilegi maligni, incantesimi del lago, misteri, magie, apparizioni e sparizioni. Così, farneticando, monatti chic del nuovo millennio, con andatura elastica e tintinnio discreto, sfoggiatele con grazia. E se son fintissime, che male c'è.

04 ottobre, 2006

Così và il mondo.



Oh sì, capita eccome. Le cazzate, con licenza parlando, sono sempre lì in agguato. E tu fai di tutto per non combinarne e magari qualche volta ti riesce pure e batti il tuo personalissimo record di mesi sei senza farne nessuna, ma poi, eccola lì, irresistibile, e allora la sventatezza e l’impulsività che ti hanno distribuito a mazzi il giorno che sei nata, te la fanno combinare e mica una qualsiasi, non sia mai. Ma poi in fondo, che cosa credevi, pensi mica che tutto il mondo sia lì in attesa di darti una minuscola mano laddove necessario, sei mica così scema da pensare che le cose, dette con educazione e rispetto, vengano intese esattamente per quelle che sono? Hai mica il cervello completamente scollegato quando credi che, in effetti, magari non è così difficile e qualche volta basterebbe un’inezia per trasformare una situazione che tu non sai dipanare e gli altri, in tutta scioltezza, possono risolvere al posto tuo? Ennò, bellezza, così non è. Ci sono persone che non aspettano nient’altro forse che sferrare un bel colpo maestro, e dirti, che peccato, anzi, neanche che peccato, ti dicono che no e basta, anzi che cosa credi e che cosa pretendi in fondo, manco ti conoscono così tanto, manco sanno così bene chi sei, non si possono mica esporre, e interferire nel lavoro degli altri, e che a loro vengono i brividi a sentire queste cose (ma quali cose, ti ho mica chiesto di andare insieme a rapinare una banca o davanti alla posta a rubare la pensione alle vecchiette) e bla e bla e bla.
Così, con la stessa licenza di prima, un bel calcio nel culo. Ti insegnerà qualcosa? E chi lo sa? Per esempio, a pensare prima di fare le cose? A valutare le persone astanti? A dirti, ciccia, ma hai idea con chi stai parlando? A renderti conto che a pensar male si fa peccato ma ci si azzecca sempre? Se finora non hai imparato, cocca, nemmeno la Scuola Radio Elettra può far niente per te. Ok, domani mi iscrivo al Cepu.

L'è un grand Milan.

Ci voleva una bella foto del Duomo.
Niente, questa mattina Blogger fa le bizze e niente succede se si cerca di pubblicare una foto. Mah!
Ieri sono stata in visita pastorale a Milano. In realtà è stata una faticosa e pesante giornata di lavoro indefesso, fino alla mezzanotte, quasi, essendosi conclusa con una cena, di lavoro anch'essa. Ma diciamo che mi sono presa le mie belle, piccole (?) innocentissime soddisfazioni. Tanto per cominciare un succulento succo di pomodoro ai tavolini traballanti di Cova, che già lì ti senti meglio anche se hai passato una mattinata d'inferno e ti è venuto il sedere quadrato a forza di star seduta in quelle odiose poltroncine delle insulse sale degli hotel adibite alle riunioni, dove non c'è niente di bello da vedere, e c'è un odore finto profumato e potrebbe anche venire una tromba d'aria nel frattempo, fuori, e che tu non te ne accorgeresti neppure, perchè tanto non c'è una finestra nemmeno a pagarla e anche se sei in un hotel a mille stelle è tutto squallidino e grigiolino e ti viene voglia, a tratti, di dire, signori carissimi, tante care cose ma io me ne vado, abbiate pazienza, ma sapete com'è, c'è un sole pallidino fuori, e se tanto mi dà tanto, è uno degli ultimi, siamo agli inizi di ottobre, vedete, e ci scommetto che domani ci sarà la nebbia e allora me ne vado, ossì, e voglio sfiancarmi di vedere vetrine e comprare cosine inutile e superflue, una magliettina, un quadernino, voglio andare da Feltrinelli e sfondarmi di libri da non sapere più dove mettere, e voglio entrare da Prada e provarmi le scarpe con il buchino sulla punta, quelle che aveva mia zia che io avevo sì e no anni 2. Bene, tutto ciò non si può fare. O meglio, non proprio tutto. Certo, si deve stare qui, ad ascoltare. Certo, si deve fare il proprio intervento. Certo, si devono gestire una serie di obiezioni e di domande assurde e di ovvietà e di attacchi al proprio operato, ma che fa. Che fa se poi a un certo punto si scappa davvero, un paio d'ore prima della cena, e si entra in un negozio a caso e si viene invitate testè a scegliere quello che più ti aggrada, in virtù del fatto che il giorno prima era il tuo compleanno e sembrava solo che fosse passato inosservato e invece no, eccoti qua, una signorina in tailleur nero tutta per te che ti consiglia, guida, specifica, abbina, decanta, descrive. Fatto. Ho avuto il mio regalo. Mai fuga, seppur breve, fu più fruttifera.

02 ottobre, 2006

Succede.


Può succedere che, nel corso dell'esistenza di una donna, moglie e madre esemplare, si venga a fare i conti con l'imprevedibilità delle cose. L'effetto sorpresa, ecco. Può succedere che, in una normale giornata di inizio autunno, che è un autunno anomalo, signora mia, che non si sa più come vestirsi, a maniche corte, fa freddo, con la giacca fa caldo, si riceva un inaspettatissimo invito a presenziare ad una cena. Ma mica una cena qualsiasi, primo, secondo e contorno, bevande escluse, sa? Una cena con i pizzi e i contropizzi, in un castello, va bene, e non è che propio cucini la signora Mariuccia e sua cognata, sa? Per farla breve, ebbene, sì, c'è stato il mio primo, emozionatissimo, sorprendente incontro tra bloggers. E, manco a dirlo, con le tenutarie dei blog che, da quando sono entrata in quella che piace a molti definire la blogosfera, leggo quotidianamente. Bella serata. Chiacchiere distese, attentati ai leziosi camerieri un pò saccenti, lingue triforcute come solo 3 donne, anche se sconosciute fino a pochi istanti prima, sanno essere. Una specie di regalo di compleanno, insieme alle leccornie di Gourmet e alle parole a fiumi e senza maiuscole di Perec. Queste cose fanno bene. Come trovare un quadrifoglio, o cinquanta euro in una tasca. Certo, la cornice scelta era davvero meravigliosa. Finalmente ho potuto avvicinarmi con un misto di timidezza, ammirazione e sincera devozione alle prelibatezze di Davide Scabin. Certo, non sono accreditata a descrivere le meraviglie che ho visto e assaggiato, proprio io che in cucina vado per esperimenti e pochi, sani, semplici piatti. Però, mi prenoto con umiltà presso Gourmet, qualora voglia, nella magnanimità della Sua Grazia, farmi partecipe del suo sapere, di qualcuno dei suoi segreti, della sua abilità. Anche nel packaging dei suoi prodotti. A Perec, invece, dico che continuerò ancora di più a leggere i suoi esercizi di stile, le sue minuscole, le sue citazioni, e ad ammirare le sue foto rubate qua e là, saccheggiate, come dice lei. Ci si rincontrerà. In un altro castello, forse, comunque tempio di una cucina raffinata, osata ed elegante. Che, col lavoro che faccio, costituisce la vera scelleratezza della vicenda. Un'adorabile scelleratezza.

Per.



Per le volte che hai pianto, che hai sorriso e quelle che sei stata lì, a fare niente. Per le canzoni che canti, per le torte che fai, le volte che metti il muso e che ti arrabbi e che ci resti male e preferiresti uno schiaffo, magari. Per le mattine che sei di corsa, e quelle che, come un lusso, puoi fare con calma, quando tutto và liscio e morbido come seta e quando invece parte storto e di lato e niente proprio niente sembra funzionare e vorresti tornare a dormire, non vista, e rimettere la sveglia e coprirti fin sulla testa e fare tutto da capo, e meglio, che questa qui non valeva. Per le persone che ami e glielo dici, spesso, te l’ho mai detto che, non questa volta, ogni volta è un pacco nuovo da scartare. E già che ci sei dì anche che ci hai provato e che proprio, di amarli più di così, così forte e così tanto, proprio non è possibile. Per quando aspetti fuori dalla scuola e guardi bene per vedere le loro facce e i loro zaini e la loro vita uguale a tutte le altre eppure così speciale per te, perché quelle facce le hai svegliate stamattina nel caldo del cuscino, e le hai rincorse con la merenda e il quaderno a righe e in quella maglia c’era un buco e l’hai ricucita tu proprio ieri sera, e la treccia che hai fatto tu un po’ più lasca, adesso, e tutto ti sembra famigliare, amico, tuo. Per le volte che ti svegli la notte e ti guardi accanto e ti dici che mai, se mai, avresti voglia di svegliarti da un’altra parte, in un altro letto e in altre lenzuola e con un altro uomo vicino e ti sembra ridicolo e demodè e un tantino appiccicoso, anche, ma che importa, in fondo. Ho l’immunità, quest’oggi e posso dire quel che voglio. Per quando chiacchieri con le amiche e non importa se di cosmico o di scemo, perché ogni volta loro sanno e sì che lo sanno che ti butteresti nel fuoco laddove necessario, per aiutarle, per vederle sorridere se da molto non lo fanno, e se proprio non si può e non ci puoi fare niente loro sanno che sei lì, a portata di mano, se vorranno una parola, una risata, un discorso semi serio, magari una sgridata, un qualche cosa qualsiasi per tirarsi fuori di lì. Per me, oggi, che è la mia festa e sono felice, vorrei un compleanno normale, una fetta di torta e le candeline, un regalo costosissimo e mille senza valore, in apparenza, ma da tenere cari, vicini, da non buttarne via la carta e lo spaghino. Servirà. Per me, una tonnellata di auguri a vicenda, ma che dico, di auguri allo specchio, a farmi le boccacce e a dirmi che sì, ho quarantatrè anni e me ne sento quasi ventotto, perché sono frivola e un po’ incosciente, spendacciona e credente, sincera e incostante, falsamente sfrontata e distratta, un po’ timida, qualche volta. Il regalo più bello è che tutto quello che c’è ora, adesso qui tutt’intorno rimanga tutto esattamente com’è, un fermo immagine per tutta la vita. Scarterò in silenzio, con gli occhi lucidi facendo attenzione a non sgualcire la carta e arrotolando per bene lo spaghino. Servirà.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...