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29 aprile, 2013

La Mappa dei Glicini.


Qualcuno dovrebbe stilarla, prima o poi.
Una cartina dove trovarli, intendo. Anche se forse è così bello trovarli all'improvviso, guarda laggiù, un glicine.
Il glicine fiorisce all'improvviso, non dà il tempo di abituarsi alla sua presenza, un giorno è verde e il giorno dopo esplode, in tutta la sua aristocratica bellezza, pur essendo un fiore tanto semplice, fuori moda, oramai raro.
Il glicine è uno di quei fiori che amo da sempre,  ho avuto una casa con una cascata di fiori che adoravo, così come adoravo la casa e tutto quello che ci era successo dentro, ma le case sono di mattoni, come dice il mio Sposo, e non va bene affezionarsi così tanto, son le persone che fanno le case e non il contrario, è vero, ma metterlo in pratica non è così semplice.

Vedere un glicine è per me una gioia per gli occhi e per l'anima.
Amo il suo colore, la composizione complicatissima dei suoi fiori, il suo profumo di buono e di bello e di sicuro, non so.
La mia personalissima Mappa dei Glicini inizia in fondo alla Strada Lunga che porta a casa mia, dove una siepe magnifica stamattina mi ha dato il buongiorno, un'infilata di grappoli umidi e lucenti, incuranti della pioggia, ancora più viola contro il cielo grigiastro e triste di oggi.

Prosegue poi, lungo tutte le case vecchie dello stradone, anche su quelle diroccate e abbandonate, testimone di una cura antica, il glicine davanti casa doveva essere una cosa di moda nelle case di campagna degli anni 30 o giù di lì. Forse anche prima. E in città, ancora glicine, lungo il muro in fondo al Viale, e ancora e ancora.

Dura poco, il glicine.
Perciò mi riempio gli occhi ora, per averne quando sarà sfiorito, quando i petali saranno lungo il marciapiede o sul prato, quando un temporale avrà scosso i grappoli e non ci saranno fiori, non più, ma solo foglie verdissime e tronco e rami.

La mia Mappa dei Glicini ne ha qualcuno più importante, che rimane attaccato a me dovessero passare mille anni, se chiudo gli occhi sento il ronzare dei calabroni, il sole forte e uno dei miei figli che cammina appena, mentre un altro impara lo scivolo e un altro ancora lancia sassolini nella fontana.
E poi ho questo, improvviso e insperato, un glicine speciale che avrà fiori solo quest'anno, mi sa e che nessuno sapeva ci fosse.

La Mappa dei Glicini non è una cartina o un disegno.
La Mappa dei Glicini si tiene col cuore.
Da lì, nessuno al mondo mai te la potrà portare via.

10 aprile, 2013

Se fiorisce il ciliegio.

Lo scrutavo da giorni.
E Fiorisci! gli ordinavo tra me. Nulla. Il Testardo Ciliegio del pratino rimaneva uguale a se stesso, come nel più lungo degli inverni, l'inverno non passa, ha un bel dire il calendario, l'inverno non passa mai.
Che strano giorno hai scelto per fiorire, Sciocco Ciliegio di casa mia, nuvola rosa nella quale affogare gli occhi e la testa e i pensieri, così pesanti oggi, forse la febbre, forse la stanchezza, ci si stanca anche a far meraviglie, lo sai?, non si sente subito, ma appena ti fermi un attimo, quando pensi che tutto sia a posto e che non rimangano che pochissimi dettagli, la stanchezza ti afferra, ti ha rincorso fino a qui, e ti ha raggiunto, alla fine.
Il sole di oggi nemmeno l'ho visto, io non mi arrabbio mai, è una condizione che non mi appartiene, posso essere triste o in collera, ma la rabbia vera non è scritta nei miei quaderni, non l'ho imparata, non la so.
e' un giorno rabbioso che per me potrebbe anche grandinare o piovere a secchi, ed esserci di quei venti spietati che sibilano da sotto la porta, che ti portano perfino i rametti e le foglie secche, non importerebbe nulla, non mi è importato nulla del mondo da stamattina, perchè dovrebbe importarmi ora?

E' un giorno rabbioso che meno male sta per finire, ho un mal di testa che mi si è appiccicato addosso, proprio dietro agli occhi, e nemmeno mi vien voglia di guardare fuori, che mi guarisce sempre,  guardar fuori.

eppure

eppure c'è un'aria bella, entra piano dalla finestra socchiusa, oggi è quasi finito, domani ci saranno nuove viole nell'aiuola e io starò meglio, mi farò coraggio, ho mille cose belle nella vita, nel mio cuore e fra le mani, il mondo di fuori non se la prenderà se a me di lui oggi non ne è importato nulla, domani sarà meglio, ci saranno nuovi fiori rosa dove affogare lo sguardo e farlo volare, dove perdersi un pò e dimenticarsi di tutto, non ci si può intristire, non ci si può lasciare andare, se fiorisce il ciliegio.


19 dicembre, 2012

La nebbia è nuvole.

Ma la nebbia sono nuvole, mamma?
Le domande dei miei figli a volte mi spiazzano, anche adesso che la Princi ha quasi sedici anni e il disincanto della sua età, e quel sorriso disarmante e luminoso, quegli occhi smeraldo ma chiaro, come l'acqua del mare che amiamo tanto. La nebbia sono nuvole? non so, non ci ho mai pensato, ma ci penso adesso grazie a te che me lo chiedi, forse sì,la nebbia sono nuvole basse, sono le stesse che buchi con l'aereo, che guardi giù e sono panna montata e ci vedi il sole dietro, come quella volta, ti ricordi, che mi hai detto Ma Il Mare è Bianco Mamma, e invece erano nuvole e cielo. Io amo la nebbia perchè ci sono nata, mi fa paura sulla strada, ma a guardarla dalla finestra mi piace, mi fa sentire protetta, avvolta, non saprei dire come, la nebbia dà mistero e sfoca i contorni e fa più belle le case, e fa le luci più larghe, ci hai fatto caso? 

Sì forse la nebbia sono nuvole, non umidità e pioggerellina, la nebbia sono nuvole davvero, scese dal cielo per far più opache le strade, per farle più belle, per far dire E' Proprio Natale, perchè si vedono le lucine che bucano piano l'ovatta che c'è, sono nuvole, bambina, è un pò di cielo anche per noi, il cielo sceso che si fa una passeggiata,  nuvole che si sono stancate di guardarci da sù e sono venute a fare un giro, per vederci da vicino. 



                                                                        *****



Le luci di Natale segneranno la strada per te, arriverai in Cielo che sarà solo Luce e Serenità. Mi avevi regalato un rosario, avevamo scritto insieme due libri per la città, e il mio con le ricette delle torte. Avevamo stilato insieme gli In e gli Out di quell'estate lontana, avevamo fatto saltare sulla sedia  il direttore del giornale, proponendo una rubrica di gossip intitolata Il Dito di Rattazzi, come la statua della Piazza, con il dito puntato verso il centro. Avevamo riso fino alle lacrime quella volta che ci eravamo perse andando all'Outlet e poi a quella festa, avevi ricominciato a fare la maglia, Sei Un Vulcano, mi dicevi sempre, mi raccontavi della tua vita di adesso, dei tuoi amici Gipsy che adoravi, del matrimonio di Lavi, eri bellissima, non mi hai mai detto il nome di quel rossetto da peccato, nè mai abbiamo fatto insieme quel viaggio a Sainte Marie de la Mer.

Ciao Rossana.
Grazie per quel pò di cielo che hai mandato giù da noi, questa mattina.


12 settembre, 2012

Anche per me.


I gessi e la lavagna. I quaderni nuovi e nuovo il diario, forse la cartella, certamente l'anima, un anno in più, un altro primo giorno di scuola, un'altra di quelle ansie meravigliose, mi mancano un pochino, le baratterei volentieri con le mie, che in questi ultimi giorni si sono fatte più insistenti, striscianti, villane e che non passano. Non mi serve nulla, non ho bisogno di nulla, ma il mio cuore si è come arrotolato su se stesso, i cuori non si arrotolano ma il mio sì, gira e gira come i mulinelli nell'acqua, l'ingorgo del lavandino. Primo giorno di scuola, rientrati a notte fonda, la Princi è andata a scuola che profumava ancora di mare e di sole e di tutto quel blù e quella sabbia. Primo giorno di scuola anche per me, ad esercitarmi, a prepararmi a un altro inverno come tutto il mondo, a studiare le situazione, a fare i conti con le vicende e i malumori e le cose pesanti, la vita non ne risparmia a nessuno, ci sono solo diversi soluzioni alle equazioni, quelle da fare sul quaderno a quadretti e mai, mai, mai che me ne fosse venuta una al primo colpo, mai. Ci sono equazioni che non si risolvono e altre che invece sì, con una scrollata di spalle o con un lavoro di fino, ci sono compiti che ti piace fare e altri che nemmeno per sogno, ci sono poesie da imparare a memoria e libri da leggere, la storia, sapere gli affluenti, gli stati del Canada, di potassio ce n'è uno, la fisica, Azzeccagarbugli, i complementi, to do/did/done, il Congresso di Vienna. Ho lezioni da imparare molto diverse da queste qui, ho cercato di studiare in vacanza ma il mare mi ha rubato i libri e non ho fatto niente, non sono preparata, svogliata e ferma e stropicciata, e il cuore, stupido muscolo che non sopporto, nemmeno suggerisce, nemmeno mi passa un bigliettino e non mi chiami alla lavagna, no, che non so fare niente, non sono niente, alla lavagna si viene con gessi colorati e io ne ho soltanto di neri a sporcarmi le mani.

22 giugno, 2012

So tired.

Stanca, sì. Tanto, troppo, non ricordo di essere stata più stanca in vita mia, è una frase che non dico mai, Sono Stanca, mai, ma in questi ultimi due giorni, immotivata ed improvvisa, una stanchezza diffusa e pesante è passata a trovarmi, di quelle che non ti danno la forza di fare un bel niente, e le cose che fai le trascini e sospiri e sbuffi e dicci Cheppalle, non mi piaccio stanca, non  mi sopporto stanca, mi dico che sarà il caldo, le mille cose, che è stato un inverno pesante e che adesso non c'è più, c'è il sole e i fiori e le cose belle, eppure tutto mi fa fatica. Forse, ad essere stanca non sono io ma la mia testa, il mio cervello, e anche l'anima, un pò, ma come diavolo può stancarsi un'anima, che cosa bizzarra, l'anima non si stanca, l'anima va avanti e corre e corre e non si ferma nemmeno se lo vuoi, così come il cuore, corrono insieme come agli argini, non ne vogliono sapere di fermarsi, nemmeno alla fontana, vanno avanti e nessuno riesce a star loro dietro. Sì, ho la testa stanca per i mille pensieri che l'hanno abitata nei mesi passati, che non è stata una passeggiata di salute, nemmeno un week end sulla costiera amalfitana, per dire, ma adesso è passato e allora che vuoi. Ho i pensieri che scivolano fuori, che scappano da tutte le parti, appiccicosi e piatti, come me. Sono un cumulo di contraddizioni e di fatica, sono di una noia mortale, sono una qualunque seduta su una panchina qualunque, che non sa se prendere l'autobus o rimanere lì seduta, le mani in grembo, lo sguardo vuoto, irriconoscibile e un pò scema, inconcludente e ferma, il niente totale. Mi passerà, non foss'altro per il sapiente mix di vitamine e intrugli e integratori e Supradyn e cose, dormirei sempre e la cosa mi spaventa, mi preoccupa e mi fa male, che cosa sono, che cosa ho, se fino a ieri l'altro stavo benissimo e ora sembra che mi abbiano rovesciato un pentolone di brodo bollente sulla testa, che mi abbiano schiacciato con lo schiacciasassi, passata nel mixer, frullata, ho mille cose da fare e la voglia di non farne nessuna, rimango qui, con la paura di sbagliare, con la paura di tutto, con la paura di me, donna qualunque e un pò scema, seduta su una panchina qualunque, a guardare passare gli autobus e a non prenderne nessuno. Per andare dove poi.

21 maggio, 2012

Se non piovesse.

Pesante. Un fine settimana come non ce ne dovrebbero essere mai. Che se non piovesse, ti chiederesti perchè non lo stia facendo, così ho letto su Twitter. Ore tristi, segnate da una specie di peso, di malinconia impercettibile, non tanto perchè non si senta ma perchè non sai bene da che parte arrivi, certo che lo sai invece, dalla tv e dai giornali e dalle cose che senti e dai pensieri che non finisci, a metterti nelle situazioni degli altri, se fosse successo a me, a pensare e adesso, non importa tanto chi è stato, importa cosa ho fatto, chi si è portato via, la forza della natura e la malvagità degli uomini, gli uomini malvagi non è vero che esistono solo nelle favole, ci sono, ci sono eccome. Ci si raccoglie, ci si stringe alle cose e alle persone care, si chiamano i figli per sapere dove sono e quando tornano, come se fuori ci fosse pericolo, come se averli a casa ti facesse stare meglio, state qui che fuori piove, che fuori è buio, che fuori la terra trema e scuote, che è un sabato triste per tutti, che aveva solo sedici anni, che era una ragazzina come te. Ci si crea in questi casi un bunker di affetto e di vicinanza, si sta tutti insieme in cucina, e se qualcuno è sparso lo si va a vedere spesso, studi? una fetta di torta, vuoi un caffè? e  loro ti guardano e sorridono, Tranquilla Mà, sanno come sei, sanno cosa pensi, e il loro sorriso dice che sì, lo sanno eccome e che ci hanno pensato anche loro e che domani a scuola ne parleranno tanto e che, e che. Fuori piove e piove, il vento dei giorni scorsi ha frantumato il vaso della lavanda e i cocci sono ancora lì, sparsi nel pratino inzuppato. E' la malinconia a farti circondare di cose, a mettere le candele nei vasi vuoti della marmellata, i tuoi gomitoli, niente tv se non un film vecchissimo di quelli restaurati, chiacchiere sottili sul divano di casa. Ci si tiene stretti, agli altri e alle cose, si cercano risposte che non arriveranno mai, è domenica ma sembra un giorno senza nome, di quelli che non vorresti sul calendario, in un mondo arido e cattivo sembra così strano pensare che le lacrime di chi non ha più una casa potrebbero essere le tue, e quel padre distrutto col maglione blù mi verrebbe da abbracciarlo fortissimo ma non saprei che cosa dire, nè cosa fare, e a lui và il mio rispetto e il mio stupido pensiero, in una domenica terribile per tutti, dove tutti si sentono così incerti e in pericolo, una domenica che a casa tutti bene, certo, ma che se non piovesse, ti chiederesti perchè non lo stia facendo.

18 aprile, 2012

Suonano le sette.

Si sentivano le campane stamattina presto, non so bene da quale campanile, qui siamo un pò circondati, ce ne sono almeno tre e poi le campane si sentono da così lontano, non saprei dire. E' un giorno liquido se guardi fuori, promette tanta di quell'acqua come se non fosse piovuto mai, come se tutti non si aspettasse nient'altro dal cielo. Invece proprio no. Si fa fatica. Fatica a fare qualsiasi cosa che non sia stare lì belli e imbalsamati a guardare fuori, a leggere i giornali, a guardare nel vuoto ripassando a mente le cose da fare, dimenticandosi volutamente quelle che ci piacciono di meno, quelle che metti sempre all'ultimo, come quando stiri, che cacci in fondo e cacci in fondo e poi alla fine la dannata camicia, quella che non si stira nemmeno si ci piangi sopra, quella di lino, alla fine arriva anche lei. La mattina di oggi fa fatica a partire, come me, è ombrosa e malinconica come me, è noiosa e angosciante. Come me.  Che vorrei essere diversa e più forte, che non mi piace quando tornando a casa dal giro dei ragazzi a a scuola mi viene il magone a guardare le nuvole bianche laggiù in fondo dopo le colline più lontane, e non so se sarebbe meglio per me silenzio o confusione, se tapparmi le orecchie con la musica più forte e cantarci pur sopra, o se giocare al gioco del silenzio, e stare attenta a non muovere nemmeno un muscolo, nemmeno a respirare, nemmeno a girare gli occhi, immobile, così. La mattina di oggi è una di quelle mattine che mi fanno paura, e anche schifo, perchè so che questo peso non se ne andrà tanto facilmente e che gli occhi pizzicano, pesanti e svogliati, e sembrano biglie di vetro, le stesse che hanno i ragazzi nel bagno blù, un vaso pieno, che a metterci le mani dentro è bello, quella volta che qualcuno le ha rovesciate un pò meno. La mattina di oggi non mi è simpatica, cercherò di ingraziarmela in qualche modo ma io non sono brava a fingere, lo sanno bene le mie Amiche che mi dicono Cos'hai quando ancora stanno entrando dalla porta e nemmeno mi hanno guardato in faccia, a loro basta vedere come sto seduta, o come cammino, o come dico loro Ciao, chissà come fanno, e forse hanno un segreto che non so, e che mi farò dire un giorno o l'altro e adesso mi sa che metterò la musica a mille e la sfiderò questa mattina che non mi piace, e cercherò e farò e disferò, alle mattine così non è che gliela si debba dare vinta, alle mattine come questa si deve fare un marameo, avendone il coraggio, non si deve dare loro troppo peso, tanto, prima o poi, anche le mattine più stronze del mondo, alla fine, finiscono anche loro.

02 aprile, 2012

Vento da dove.





Dicono ci sia stato un ventaccio, ieri, da queste parti. Non posso saperlo, io non ero da queste parti ieri, perciò      non lo so.  Quello che so è che c'è stato sul serio, a giudicare dal delirio che ha lasciato sul pratino già in disordine di suo, non avendo ancora subìto alcun intervento di rassetto primaverile. Il vento di ieri ha staccato la casetta degli uccellini, e con essa il marchingegno da me amorevolmente brevettato per sfamarli, il loro bar, diciamo. Ha capovolto lo stendino e tutto quello che c'era sopra, anche se lo stendino di casa mia è sistemato in posizione strategica, che lo nasconde agli occhi del mio Sposo che non ne sopporta la vista. Non ci si chieda il motivo, Egli è fatto così. E' stato un vento della malora, di quelli improvvisi che spazzano via le cose che magari sono lì da un sacco di tempo. Succede, qualche volta Che arrivi una folata dopo l'altra, raffiche a mille all'ora e ti portino via delle cose, non soltanto le magliette stese, non soltanto il cibo degli uccellini. Ci si fa l'abitudine. Si commenta con un'alzata di spalle, dopo aver incassato il colpo, di dice Pazienza, non già con rassegnazione, ma con lo sguardo già al di là, lontano, già oltre. A guardarlo bene il giardino stamattina non è molto diverso dalle altre mattine, anzi, è proprio identico. Il ciliegio è sempre lì, la siepe anche, e anche le sedie strane, colorate, quelle col buco che il gatto ci scivola dentro, sono lì. Soffia pure, vento malvagio, vento arido che scuoti le vite di tutti, non sei quello profumato di schiuma e di mirto, sei un vento insipido che arriva chissà da dove e nemmeno ci tengo a saperlo. Soffia e porta via tutte le cose, spostale, capovolgile, fanne quel che vuoi. Non ruberai il ciliegio, al massimo gli farai cadere i petali, invidioso come sei di tanta bellezza  delicata.  Non  ruberai  la siepe, il lillà che sta fiorendo, anzi, scuotendolo ne farai uscire tutto il profumo e sarà peggio per te. Soffia, saccheggia, sfianca me e il mio giardino, non m'importa se dovrò lavare un'altra volta le lenzuola cadute sul prato. Ma guai a te se tocchi il resto. 

06 febbraio, 2012

Colpa del gelo.

E' il gelo, sì. Meno non so quanto, le temperature non le quantifico dai numeri, ma dai maglioni, dalla sciarpa che non basta, dalla faccia intirizzita, dalla cuffia calata fin sugli occhi, dalle mani gelide nonostante i guanti, epperforza, hanno i buchi. Questo gelo mi ha scocciata, per un pò va bene, poi non mi piace più, d'improvviso avrei voglia di vedere l'erba e le foglie, e le cose intorno con la loro giusta forma, i campi dei colori giusti e non tutto questo bianco, che è magico sì, ma che oggi mi stufa, mi innervosisce, mi fa essere come odio essere, petulante e insopportabile, non gradevole a nessuno, come se il gelo avesse gelato anche me, in un certo senso. Mi verrà l'influenza, si dice quando uno non è in forma, incriccatissimo, un malessere diffuso che non individui, e forse nemmeno sai se è fisico o no, se passa con la tachipirina o no, se basta un pò di caldo e le coperte e un bel libro oppure se non serve nulla e devi solo aspettare che passi, contando poi i danni che ha fatto su di te, lasciandoti così, come fa sempre. Lo stato delle cose è questo qua, ci si ritrova a iniziare una settimana impegnativa e si è impreparate a tutto ciò, non si trova il modo, ci si sente inadeguate perfino a sciacquare un bicchiere. Fuori il paesaggio non aiuta certo, ho messo briciole di Macine sul cumulo di neve che si è formato nel vaso grande del timo e della menta, ho guardato il mio giardino perso e nemmeno l'ho riconosciuto, si è rotto perfino un ramo del ciliegio, ha giocato con la neve e la neve ha vinto e lo ha lasciato lì, spezzato e triste in mezzo al pratino scomparso. Il gelo ha un brutto effetto su di me, mi ci vorrebbe un amuleto per combatterlo, sono stufa di questo silenzio e questo bianco, vorrei chiasso e vento e colori, vorrei musica e fiori dentro ai vasi. Il freddo, la zerda, come la chiamano qui, ha gelato i miei pensieri, li ha fatti pesanti e appuntiti, come i ghiaccioli fuori dalla finestra, li ha resi insopportabili, scivolosi come i marciapiedi, sporchi come il pavimento macchiato di sale, non è giornata, non è il momento, non è niente al mondo, oggi cercherò un talismano contro il mio stare, troverò un antidoto in qualche modo, non si va da nessuna parte se una sta così, anche io in tilt come il traffico di Roma, farò piccole cose, tirerò a lucido questa casa silenziosa, spalerò la neve che è rimasta sul terrazzo, preparerò cibo vero per gli uccellini, mi sa che le Macine ai pettirossi non piacciono, inconcludente, inadeguata, nemmeno a dar  briciole agli uccellini sei capace, oggi.

17 gennaio, 2012

Mescola.

Più fermo del fermo, il cielo bianco latte, non un fruscio, nessun rumore nel giardino incantato della Casa in Collina. Le foglie sfinite, il gelo, la nebbia, la tazza sul tavolo e le briciole e pensieri confusi, che non si fanno pensare, che scappano da tutte le parti, che svaniscono come lo zucchero nel latte se stai ore a mescolare.  Così tu mescola, mescola e andrà via, mescola, urtando il cucchiaino contro la tazza, è una specie di musica che fa compagnia, mescola, non importa se lenta o compulsiva, se vigile e guardando nel nulla come ti succede spesso, gli occhi puntati sul giardino, anzi no, è da quel che guardi che si capisce come stai, se la collina sei al massimo, se il giardino insomma, se il terrazzo stai da cani. Non importa come e non importa dove, guarda fuori da questa finestra, vedrai che nulla si complica, vedrai che tutto rimane così com'è, immbile e silenzioso, niente succederà, tutto andrà come deve andare. Rimani ancora lì, se vuoi, al tavolo della cucina ancora pieno di cose, tazze e briciole, arruffata e già stanca, di una stanchezza che non è quella che passa dormendo, invèntati una bella giornata di sole solo per te, a scacciare la nebbia che si è posata dovunque, persino nel cervello, ma da dove è passata, forse ne hai mangiata troppa ieri, non si corre nella nebbia, fa troppo freddo e quando torni hai male agli occhi, è da lì che passa la nebbia, dagli occhi, gli stessi che stamattina nemmeno hanno il coraggio di guardare il terrazzo ma si fermano ai vasetti dei mini cactus che di sicuro moriranno e tu mescola e mescola e bevi il caffelatte tutto d'un fiato e alla fine, in fondo alla tazza lo zucchero non si è sciolto, lo vedi, è ancora lì.

30 dicembre, 2011

Ritorni.

Ci sono le partenze. E i ritorni. In mezzo c'è tutto il resto. Ci sono insegnamenti da seguire, Metti la Testa dove Hai il Tuo Corpo, e devo dire che ce la si fa, ogni tanto, anzi quasi sempre, si cerca di essere concentrate sulle cose che vedi, sulle persone che hai intorno, insieme a te. La vacanza di Natale è quanto di meglio c'è per la mia famiglia, per me, per i miei pensieri. Anni e anni di allenamento mi fanno essere brava a lasciare i guai, le grane e le questioni nel momento stesso in cui vado via, con qualsiasi mezzo, le saluto dal finestrino, le lascio a terra, le guardo passare o  le guardo da sù diventare dei puntini invisibili, che bei disegni sono quelli che vedi dall'aereo, provi a indovinare le case, le pianure, le città, le autostrade. La partenza e il ritorno. In mezzo, c'è tutto. E appena torni, anni e anni di allenamento non mi hanno ancora insegnato come fare, se ritrovo tutto lì, come un regalo ad aspettarmi, tutti i pensieri sono lì,intatti,  li ritiro col bagaglio, anzi, già li intravedo prima di arrivare, mentre mi avvicino pianissimo al suolo, e quel che partendo vedevo diventare piccolo diventa ora sempre più grande, sempre più gigante e ingombrante e pesante e sembra sempre che sia così ingarbugliato e difficile e solo il sussulto delle ruote sul terreno mi danno una specie di respiro, passerà, passerà anche stavolta, ma che fatica, che immensa, titanica fatica ogni volta, mi dovrò impegnare, dovrò farcela prima o poi a inventare partenze che non hanno ritorni e se ce li hanno, non così, per piacere, non così.

28 novembre, 2011

E' cielo d'albume.


Succede, ogni tanto, ancora succede. Che sto ferma, che mi prenderei a schiaffi, che starei immobile da qualche parte a guardare da nessuna parte, a fare niente, a pensare niente, a sentirmi niente come niente mi sento ogni tanto, che è sempre più di rado ma mi ci sento qualche volta, e quando arriva, la volta, è come se fosse la prima, di volta, e come se non fosse mai passato, come se fosse arrivata anche ieri e ieri l'altro, ma arrivata che cosa, arrivata questa cosa, questo stare, Cos'Hai? Niente, appunto, il niente, ho niente, sono niente, sono nessuno e da nessuna parte, da nessuna parte starei, da nessuna parte andrei, opaca e viscida, sono nebbia sulla collina, nebbia che si brina intorno agli alberi, sono collosa e torbida, non trasparente, non lucente, ma offuscata, cupa, pesante, sono nebbiosa,  come nebbiosa è  la nebbia di fuori, per forza,  non so dove andare, sbatto contro questo muro che non c'è, non so la strada, o meglio la so, ma con la nebbia nemmeno la strada di casa riconosci, qualche volta. Sono d'albume, molliccia, inconsistente, sono un liquido del tutto inutile che qualche volta sbatti giù dal lavandino, è un giorno così, me ne sono accorta subito, appena ho aperto gli occhi, Oggi Sarà Così, e adesso almeno lo riconosco e cerco di, e prova a, ma niente, niente e nessuno, inizio mille cose e non ne finisco mezza, schiacciata da un masso, si fa presto a schiacciarmi quando sono così, da dove comincio, cosa devo fare, fuori il cielo pesto e invisibile, dentro prove tecniche di tirarsi fuori, proverò a fare, a scrivere un pò, a inventare qualcosa, incolore e insapore, che giornata scivolata via, che niente del tutto, che spreco di tempo, come non sapere che con l'albume ci si fanno le meringhe, zucchero e forno bassissimo, mi sa che ci provo.

07 novembre, 2011

Fango.



Sono giorni fermi, immobili, dove le abitudini che hai, le cose che fai, tu e gli abitanti della Casa in Collina, sono un pò filtrate, come dipendenti da qualcosa che non si sa cosa sia, si è in collina e nessun fiume e nessun smottamento e nessuna frana, ma è tutto lì in agguato, lì vicino, vicinissimo, in città si sente di più, c'è poca gente in giro, l'ho visto stamattina, e quelli che ci sono sono tutti lì, a guardare il fiume marrone e tutto quello che il fiume porta, i tronchi, le assi e tutte quelle cose, sembrano zolle o cosa sono. E' acqua cattiva, acqua limacciosa, acqua schifida, che nemmeno la schiuma rende migliori, mai visto la schiuma sul fiume, eppure c'è. Sono giorni che si guarda in sù, si vedono centinaia di notiziari, si è passato il fine settimana a casa, a tranquillizzare le persone lontane, a dire No, Stiamo Bene, certo che stiamo bene, noi siamo al caldo, non cerchiamo le nostre cose nel fango, nessuno di noi è stato in pericolo, e ci si sente così fortunati a vedere e a sentire quel che è successo poco distante da noi, in centro poi. E ci si sente fortunati sì, ma piccoli e assurdi, e così stupidi, così incredibilmente materiali, lo vedi, passa tutto così in fretta, sei in centro con tuo figlio e l'onda ti succhia via, scivoli lontano e non ci sei più. Rifletto, mi dò un tono, lavoro un pò ai miei progetti, sono ansiogena, lo so, guardo se piove, guardo le previsioni, dico ai miei figli Non Andate Nel Pericolo, ma il pericolo quale sarà mai, e dove, poi. In giornate così si vorrebbe far qualcosa, e forse qualcosa di minuscolo si è fatto, si pensa e ripensa a Genova e a Monterosso, ma pensare non serve a niente, si aspetta la piena anche qui, si guarda il fiume che è già stato così crudele nel '94, esattamente come ieri, il 6 novembre. Che strane pieghe ha il destino, che strani, stupidi giochi fa la natura, che ricorda il giorno esatto, Sono Segni, dice qualcuno, ma segni di che, io non vedo segni, vedo solo acqua, limpida dal cielo e sporca dal fiume, e vedo gente che guarda giù,dal ponte, gente che guarda sù, il cielo, e gente composta e degna, disperata e silenziosa che scava e scava a cercare nel fango quel che resta. O quel che ha perso.

07 ottobre, 2011

Resto in cucina.


 
Resto qui, che è meglio. Che strano ottobre questo qua, me ne accorgo ogni giorno, il compleanno, San Francesco, già perchè io anche Francesca mi chiamo e anche Maria, Incoronata e Assunta me lo hanno risparmiato, come mi prendono in giro in casa, qualche volta. E poi oggi. Non un granchè, per me, non un giorno che vivrei, ne ho vissuto uno così tremendo anni fa, già, quanti, 31, accidenti, ogni anno uno di più, com'è ovvio che sia e io invece sempre a stupirmi, ma come, trentun anni, ma come può essere possibile. E allora, li penso, gli anni, i trentunanni, attaccati, uno in fila all'altro, come i chicchi di un rosario che sgrano a fatica, non mi piace ricordarli così gli anni che passano,che sono passati, da quel giorno che ha cambiato la mia vita, da quella di prima a quella di adesso, non c'era un altro modo, per caso? Mi piace pensare qi miei figli piccoli, questo sì, il matrimonio, quella volta che e le cose, e le feste e gli spaventi, anche, quella volta che son venuti i ladri, quanti anni erano, e poi le feste e le questioni, il lavoro, mi piace pensare solo alle cose belle degli anni che ho avuto. Non a questa qua. E ogni anno mi scopro un pò più cattiva verso questa cosa, verso il perchè sia successo allora e così, e verso tutto quello che poi da lì è arrivato, il dolore degli altri, non solo il mio, perchè un dolore così è davvero così gigante che fai fatica anche a tagliarlo in due, in tre, a dividerlo tra mio fratello, mia madre e me. E' un sacco pesante che mi porto dietro, sui camion dei traslochi che ho fatto, che vedo accanto alla valigia pronta per la maternità, al mio mazzolino di anemoni e fresia, alla mia fede lucente, ai dentini dei miei bambini, a trentuno alberi di Natale, anzi, solo trenta, quell'anno nemmeno l'albero di Natale si è fatto, in casa mia. Così, resto in cucina e guardo fuori, il sole, la terra calma, gli alberi morbidi della collina ancora troppo verdi per il giorno che è. Resto qui, come quando ho qualcosa da pensare e non ne ho voglia, in cucina anche i pensieri più terribili sembrano forse più lievi, penso distratta alle cose che ho da fare, anche se il mio pensiero và più in alto, oltre le nuvole, al di là del mio dolore e del mio volergli bene, ovunque lui sia, nel sole.

26 giugno, 2011

Cincischio.

Giorni. Giorni e sere. E pomeriggi. E giorni interi, composti da mattine, pomeriggi e sere. E giorni invece che non sai nemmeno da che parte cominciano e dove finiscono, beh, quello sì,  finiscono che svieni nel letto e nemmeno ti sei lavata i denti, alla fine e non riesci a dormire se non ti lavi i denti e non hai nemmeno voglia di rialzarti perchè a lavarsi i denti il sonno passa, ma dai, che lo sapevi anche tu. Infine, è vacanza, passata in città, almeno fino verso la fine del mese, forse, è tutto così, bello e improvvisato, non ho voglia di programmi e  questo rende liberi e leggeri, si partirà, certo ma non si sa quando e nemmeno in quanti, chi prima, chi dopo, certo è che quest'anno l'Isola si farà in lungo e in largo, più in lungo che in largo, in una parte di Isola che non si conosce, vedremo. Il sole è luminoso e chiaro, il sole di fine giugno che scotta ed asciuga, ed è bello osservarlo da qui, le spighe del grano che hanno già tagliato, perfino la fioritura massima delle rose. Io cincischio. Leggo, mi agito, ricopro barattoli, faccio progetti, invento, e pensopensopenso che mi fa male al cuore e allo stomaco, forse anche al cervello. Mi piace il verde verdissimo del pratino e i fiori caduti del gelsomino, mi piace il clima vacanziero che ha la mia casa in momenti come questi, solo i due Grandi han da studiare ancora, gli ultimi due sono liberissimi e ciarlieri, i libri delle scuole medie già ammonticchiati da qualche parte per essere testè eliminati, pic nic al fiume del Liceale, Amiche from Australia in visita pastorale, grigliate in terrazzo, tonnellate di focaccine sfornate con rara maestria. Ma cincischio. Ho come il freno a mano tirato, qualcuno mi ha legato al ciliegio con una corda invisibile e non riesco a liberarmi e forse nemmeno ci provo. Ho le scarpe incollate al pavimento, ho tacchi 15 che non mi permettono di camminare sulla ghiaia, ho i polsi incrociati col nastro adesivo, uno zaino pieno di sassi, gambe a mollo in un torrente impetuoso e non vado nè avanti nè indietro, sabbie mobili e acqua bassa, ma dove vado, dove andrò. Cincischio. Dovrò imparare a scegliere con cura i pensieri da pensare, così come si scelgono i film al cinema, con la sola differenza che all' uscita non puoi dire Che Cazzata, i pensieri che hai sono strane creature, si offendono se non stai a pensarli, anche se ci stai male, ma male, a loro non importa granchè. E si ribellano facendosi trovare sempre lì, facendosi pensare anche se non vuoi, e si ribellano, colla sul pavimento, sabbie mobili, una corda invisibile legata al ciliegio.
Tumblr: Sunshine&Pearls

20 giugno, 2011

Polvere.

Non so più come chiamarla, non so da dove viene, non so nemmeno dove va. Non so il motivo, il senso, il sentimento, la questione. Non so il percorso, il sentiero, nè per arrivarci nè per scappare via, sottrarmi a questo gioco assurdo dove vince sempre lei, comesichiama, dove non è che hai paura, non è che hai l'ansia ma hai tutto insieme, tutto mescolato, fradicio, impastato a te, e ti scuoti e ci provi almeno ma niente, ne sei ricoperta, e prova a scrollartela di dosso e non serve, non ancora, non sei ancora riuscita a trovare una scopa così buona per spazzarla via, ecco, è polvere, sottile, sottilissima, si insinua infingarda tra le tue lenzuola, in frigorifero, nella libreria, sul divano, ovunque, ti blocca e ti agita, è così strano quel che fa, non sai mai dire quando è arrivata, un attimo fa non c'era, l'hai trovata senza cercarla, come il tuo anello quella volta, quando apri un cassetto e trovi una cosa che credevi persa per sempre, ma guarda un pò, era qui. E'polvere, sì, a ricoprirti il cuore, a rendere tutto difficile, ma come, ieri stavo così bene, ho dormito come un sasso e adesso eccomi qui a tremare un pochino, a cercare di fare mille cose che devo fare e non averne animo di farne nessuna, nessuna, nessuna se non star qui a guardare fuori, ok, mi farò una doccia fredda e dopo starò meglio, ci si dice sempre così, ma questa cosa sottile non è che si stacca così facilmente, non sei caduta nel fango e lavandoti torni come nuova, non è così, ci vorrebbe un modo, ci sarà pure un modo, per capire  cos'è, per non stare così, l'ho chiamata in mille modi, chiodi, zucchero a velo, sassi e rocce e onde e vento forte ma nessuno di questi sembra piacerle, mi sta attaccata, appiccicata come le etichette della marmellata che fatichi a staccare e rimane sempre la colla, la polvere si infila, inutile nasconderla sotto il tappeto, ti troverà, la troverai, e starai ancora così le mille altre vote che verrà a trovarti, che credevi passata e invece no, che credevi di aver perso e invece no, che credevi di aver seminato correndo a zig zag , lei il sentiero lo conosce benissimo, anche se non sa da dove viene e nemmeno dove va.

26 febbraio, 2011

Figlio.



E' da ieri che lo scruto. Quel poco che ho potuto, nel senso che la febbre e il mio andare a letto presto e tutto questo tossire e tossire non mi hanno dato granchè modo. Ma ho riconosciuto come smarriti quei suoi occhi di bosco, nel buio dietro la porta della mia stanza, ieri sera, Stai Bene? E ho riconosciuto quel suo indugiare in un abbraccio troppo stretto, come chi ha da dire molto ma non dice, e dice Chiedimi, Non Ti Risponderò, ma tu fàllo, mamma o non farlo, non so. Non ho capito, figlio, non ho compreso subito, mi sono data qualche risposta confusa, gli esami, la nuova vita a Torino, nuovi amici e nuove cose, sarà questo, ho pensato. Ma non  che fossi convinta, no, qualcosa mi sfuggiva, di solito è così ciarliero al venerdì, con tutti i fratelli a tavola, la sera, ma stasera invece no, stasera è silente e distante e ha gli occhi lontani, non so dove, non so. Io conosco le tue mappe, figlio, più di ogni altra persona al mondo ho la pianta del tuo cuore dentro al mio, ho i tuoi modi e i tuoi sentimenti, e ti sento, figlio, ti sento come un albero la foglia, come un tasto la sua nota, come il mare la sua onda. No che non ti chiedo, perchè so che non avrei risposta a questo tuo stare, so che non è una cosa da niente e allora sto zitta, ti penso e sto zitta, se avrai voglia e sentimento me lo dirai, sei uomo fatto e io, madre, ho solo modo di sedermi ed aspettare. Poi oggi. 
Devo andare, E' il Compleanno di. Ci Troviamo Tutti al Camposanto.
Amore grande mio, figlio del mattino e della luce, dimmi piano come posso alleviare questo tuo dolore, dimmi bene come fare anche a spiegarti che dolori come questo non vanno via mai, sono squarci che non rimarginano, sono tagli che non smettono di fare male, mai, la tua età ti può aiutare a far diventar tutto un pò più lieve ma il dolore è un brutto affare e se ne sta lì, in agguato, e ti rincorre e ti raggiunge. Figlio del Cielo, mia espressione più perfetta, mia vittoria, mia pienezza, cura questo dolore e impara a viverci, a riconoscerlo, a sentirlo, tasto e nota, onda e mare, nell'ineluttabile e spietato gioco della vita e della morte. Da lassù, nel giorno del suo compleanno,  c'è chi ti guarda e sa.

04 gennaio, 2011

L'eclissi che non c'era.


Ero bell'e pronta a guardare sù, ben felice di partecipare a questa cosa dell'universo, imbucata ad una festa senza invito, eppure, ci potevano andare proprio tutti. Ma non l'ho vista, l'eclissi non la vedo, forse a quest'ora è anche già finita, troppe nuvole da queste parti, siamo a nord ovest, ieri il tiggì diceva che sarebbe stata più chiara a nord est, ho sbagliato parte, sono dalla parte sbagliata, niente eclissi. In stato semi confusionale, sarà colpa dell'eclissi, forse, o forse del fatto che in questa casa non c'è ancora il calendario, ed è stranissimo, perchè di solito lo compro a novembre, e invece stavolta no. I calendari di questa casa hanno sempre la stessa forma, sono quelli quadrati che vende Feltrinelli, e spesso sono di Doisneau, perchè mi piacciono le fotografie in bianco e nero e mi piace Parigi e mi piace Doisneau ma non Le Baiser all'Hotel de Ville, che ce l'avevo sopra al letto al posto del crocifisso nella mia prima casa da famiglia, quella sulla Piazza, a Torino. Mia madre invece, aveva un rosario gigante, con chicchi grandissimi di legno, ed era una consuetudine, mi sa, perchè quella volta, in terza elementare, che ho portato i compiti al la mia compagna con gli orecchioni, lei era nel lettone e anche lì ho visto lo stesso rosario gigante, si vede che era una trend dell'epoca. Questa casa non ha calendario e per sapere che giorno è conto sulle dita o guardo il telefono, e la cosa mi destabilizza, a me piace la carta, scrivere, gli inchiostri, le stilografiche, le penne che scrivono spesso, nel senso di avverbio di modo e non di tempo, ma anche di tempo, perchè io scrivo spesso, in tutti i sensi. Scrivevo e scrivevo anche a scuola e i miei diari facevano il giro dell'istituto, ce li ho ancora conservati di sotto, in scatole di cartone che proteggo a costo della vita, esagerata, in fondo era un blog anche quello, scrivo un pò dei fatti miei, che mi fa bene, a vederli scritti mi sembrano più morbidi, i fatti miei che non mi piacciono, ma anche quelli che mi piacciono, che discorsi, e scrivo e scrivo e dopo mi sento leggera e bene, e completa, non so come dire, ci ho provato tante volte ma questo proprio non lo so descrivere, la sensazione che mi dà, è un bicchiere di spremuta d'arancia, le vitamine, la tachipirina se hai la febbre che eri moribonda e dopo mezz'ora salti come un grillo.

Giorni fa mi hanno mandato una fotografia, di quelle che si facevano col rullino e che dovevi aspettare una settimana per vedere, proprio in questi giorni che la Kodachrome ha chiuso per sempre, che peccato, chissà se anche Paul Simon è dispiaciuto quanto me.
Questa foto è il mio cortile di ghiaia dove sono diventata un pò di quello che sono ora, la bambina che ho in braccio abitava a pochi passi da me, e me la sono coccolata un sacco, come una bambola, ma vera.
Ricordo perfettamente l'orologio della Prima Comunione, la gonnellina di jeans e le ciabattine di camoscio rosso coi buchini, che adoravo e che non mollavo mai nemmeno per scendere a giocare, le avevo trovate nella calza della Befana che appendevo alla maniglia della mia stanza perchè negli anni 70 i camini erano così fuori moda.
Quella bambina lì ha undici anni, era il 1974, e guardandola mi si è riempito il cuore di una cosa cui non so dare un nome, mi ha intenerito, non lo so, io non possiedo fotografie di quei giorni lontani e perfetti, perchè una volta mi si era allagata la cantina ed era andato tutto perso, per fortuna mia madre ha salvato il suo album di matrimonio, rettangolare, sottile di pelle verde.
Guardo quella bambina che è uguale a mia figlia, a mio figlio Pietro, a me, e quel cortile dove sono stata così bene, dove sono caduta in bicicletta e coi pattini a rotelle, pure, quelli che si allungavano per quando cambiavi numero, un pò scema a voler andare con le rotelle sulla ghiaia. 
No che non lo descrivere, non lo so dire, non so.

E' stato un bel regalo, Silvia. Molto più di quanto tu creda.

L'eclissi non c'era, scrivo e scrivo perchè mi fa bene, mi sa che oggi vado a comprare un calendario.






05 dicembre, 2010

Nel bosco.

Mia figlia è di là che ride nel telefono. Prima cantava.
Mi è difficile pensare ad altro, stasera.
Ho sperato, in questi giorni, seguivo i tigì, volevo sapere, ho pregato,anche, no che non mi vergogno.
La cercano nel bosco.
Nevica pianissimo, non è vero, nevica forte ma è neve piccina, non sono fiocchi ma briciole, non sembra nemmeno neve se non guardi per terra e dici, ah già, guarda che nevica.
Mia figlia ha mille braccialetti, gli occhi belli, ha il gatto accoccolato sul letto, è già in pigiama.
Mia figlia ha 13 anni.
Come lei, che cercano nel bosco, e nel bosco è buio sempre, figuriamoci di sera.
Mia figlia vuole farsi un altro buco alle orecchie, tagliarsi i capelli così, mette le mie collane, il mio profumo, non le piace la storia, sa le canzoni dei Beatles.
Il dolore non si immagina, se ci provo è un masso che si stacca dalla montagna e che mi schiaccia, un buco nero che mi inghiotte, un burrone dove precipito senza fermarmi, rimbalzando sulle rocce.
Il dolore non si compara, non si divide, penso a quella mamma e mi guardo, guardo mia figlia e non finisco il pensiero, non ho coraggio  e non ho sentimento.
Nel bosco, stasera, fa che faccia meno freddo e che la neve sia tiepida, là dove cadrà.

26 novembre, 2010

Il talismano.

Voglio un talismano. Voglio un ciondolo, un bracciale, che quello rosso che mi ha regalato la signorina Crubellier , quella volta al ghetto di Roma, si è sfilacciato, ed è rimasto solo l'argento e non è che abbia funzionato granchè, devo chiederle del suo, mi aveva detto di averlo perso e ricomprato, chissà. Voglio un talismano, da tenere in tasca, da portare con me, toccare quando mi serve, da usare quando non trovo il senso, la quota e la ragione, perchè non sento, non conto e anche a ragionare si fa fatica. Voglio un talismano, non so se esiste nemmeno quello che fa per me, non ci capisco niente, io, di queste cose esoteriche non tocco niente. Però sarebbe bello affidarcisi, posso provarci, lo vedi? ho il mio talismano, posso andare dovunque con questo, e mai mi sentirò fuori posto, mai mi sentirò inadatta, mai mi sentirò inconcludente, malinconica, vuota come una canna d'organo, così dicono al mio paese, mai mi vedrò questa espressione da tartaruga, c'hai fatto caso? gli occhi delle tartarughe sono come quelle dei serpenti, fissi, senza espressioni, se non camminasse sembrerebbe già stecchita, ha 'sta faccia da scema, la tartaruga, mai che sorrida, mai che dica, che so,  Ehi! oppure, Come Va? Niente. Oggi ho una faccia da limone, più che tartaruga, verdina, allora che limone è, da limone acerbo, và, ecco. Questo limone acerbo oggi non ha concluso un nulla che sia nulla, ha cucinato in maniera compulsiva, primosecondocontorno per scoprire che nessuno e dico nessuno dei figlioli allieterà il tavolo della cucina, stasera. Va bene, sarà il pranzo di domani, abbelli! Gira così, gira che non gira, gira che non va così bene come dovrebbe andare, gira che a volte scivolo, che a volte non mi attacco al corrimano delle scale, e cado giù, bell'e distesa, gira che non so nemmeno dov'è la maniglia del paracadute e mi sfracello, gira che nuoto per ore e ore e poi mi volto e non vedo più la spiaggia, ma come, era lì. Voglio un talismano per non sentirmi a pezzi, e nel caso, per saper raccoglierli con la scopina e la paletta, quella fatta a Principe e Principessa, che sta nell'angolo della cucina. Voglio un talismano, per non sentirmi girare, per non sentirmi in mezzo al mare e  alla burrasca, voglio l'Ignatia Amara per non avere l'ansia, voglio una cartina che mi dica dov'è che mi son persa, dov'è che arriverò, dov'è che sono andata, dov'è che mi ritroverò, cuore di niente, cuor di meringa sbriciolata, di cristallo sbeccato, cuore di sasso, cuore d'argento annerito, cuore di coccio che nemmeno le sa leggere, le cartine.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...